LA DERIVA - di Giuseppe Giudice
di Giuseppe Giudice
Renzi più che a Fonzie somiglia ad un Pieraccioni prestato alla 
politica. Con più cattiveria. Ma è come se un personaggio dei film del 
comico toscano diventasse segretario del maggior partito italiano (o 
post-partito come qualcuno ha scritto). Talvolta la realtà supera la 
fantasia, soprattutto nella Italia della II Repubblica. Ma , come ho 
cercato di spiegare, il nuovo Pieraccioni è il frutto dela deriva 
inevitabile di un partito senza identità Tentare di contestare il 
Pieraccioni non mettendo in discussione le radici fondative del PD è 
pura follia. Il limite dei Bersani, Epifani e Pittella è stato proprio 
questo, pensare di costruire qualcosa che somigliasse alla 
socialdemocrazia senza superare e mettere in discussione il PD e la sua 
fondazione. Del resto mi si potrebbe fare una obiezione più che fondata :
 ma come è possibile che dirigenti del PD possano mettere in discussione
 le ragioni (molto malferme) su cui il PD si è fondato. Sarebbero in 
palese contraddizione con se stessi. Per cui hanno solo tentato di dare 
una "interpretazione estensiva" di quelle malferme ragioni fondative. Il
 che ha solo fatto crescere la confusione. E comunque un partito senza 
identità può reggersi solo su un precario equilibrio tra notabili e 
capi-bastone o su una forte personalizzazione del soggetto speculare al 
berlusconismo ed al grillismo.  Quando l'equilibrio tra i feudatari 
provoca un impasse e fa perdere voti si ricorre a Pieraccioni. E' questa
 la logica conclusione della incapacità del postcomunismo di dare una 
identità politica e culturale alla sinistra compatibile ed in linea con i
 socialismo democratico. Anzi una grossa parte de PDS ha fondato 
sull'antisocialismo o sull'a-socialismo la propria ragion d'essere. 
Questo doveva servire a due scopi: il primo scaricare su Craxi ed il PSI
 tutti i malanni della I Repubblica. Il secondo la pretesa contestualità
 del superamento di socialdemocrazia e comunismo (una grossa cazzata) 
era in linea con la deriva opportunistica del gruppo dirigente PDS che 
ha accettato il mercatismo liberista per farsi legittimare dal 
capitalismo finanziario globalizzato. Vedete: Tony Blair il thatcherismo
 se lo è trovato. La sua grave colpa è di aver cercato un compromesso 
con esso e di , aver tentato di modificare il meccanismo strutturale che
 produceva squilibri e diseguaglianze. E aver tentato solo di attenuare 
gli effetti di quel modello senza incidere sulle cause.  Le varie III 
vie sono un rinnegare i principi del socialismo democratico. E per 
questo possono essere criticate solo da chi crede nel socialismo 
democratico non certo dai neocomunisti  colti da attacco di bile. In 
Italia il mercatismo liberista è passato grazie ai postcomunisti ed ai 
postdemocristiani demitiani organicamente legati al finanzcapitalismo 
(vedi Prodi).  Verso Craxi si sono fatte due tipi di critiche . Le prime
 giuste, le altre profondamente errate e frutto di grosse mistifcazioni.
 Le prime che sono soprattutto state fatte dagli stessi socialisti 
critici come Ruffolo e Formica, si appuntano sul bonapartismo 
autoritario con cui Craxi ha gestito il PSI. Che poi ha prodotto gravi 
degenerazioni ed ha poi gravemente esposto il partito agli attacchi di 
coloro che lo volevano vedere soccombere. Da Panebianco a Scalfari ad 
Occhetto.  L’altra critica è totalmente campata in aria ed è frutto 
delle mistificazioni di chi basa la sua esistenza de distorcere le 
posizioni altrui. Parlo ovviamente dei neuro e dei funeralcomunisti.  
Craxi non era affatto un liberista, anzi era un antiliberista convinto. 
Soprattutto per questo è stato fatto fuori Non certo per le sue colpe 
vere.  Il golpe postmoderno di Mani Pulite era intenzionato a rendere 
impotente la politica rispetto allo strapotere del finanzcapitalismo. 
Craxi si era opposto alla privatizzazione delle aziende aventi un valore
 strategico ed ha difeso fino alla fine il ruolo della economia mista e 
della programmazione. Esattamente come altri socialisti europei del 
tempo come Mario Soares, Michel Rocard e lo stesso Lafontaine di allora.
 Sono stati i postcomunisti , per essere legittimati, a rendersi 
totalmente subalterni. Poi  ci sono stati i massimalisti affabulatori, 
alla Bertinotti, che si sono creati una rendita di posizione da ceto 
politico, su una denunzia dei tradimenti altrui intrecciato con una 
spiccata tendenza ad accordi sottobanco con gli stessi traditori. Non 
avendo alcun progetto al di fuori delle chiacchiere e del distintivo. 
Così si è suicidata la sinistra itaiana. Per chi ha una conoscenza non 
mistificata della migliore socialdemocrazia europea , sa benussimo che i
 punti forti di quel progetto sono la economia mista, la programmazione e
 la democrazia economica (e non solo il Welfare). IL tanto citato 
manifesto di BAd Godesberg parla esplicitamente di un ruolo della 
impresa pubblica nei settori strategici , come primario strumento di 
regolazione del mercato, una impresa pubblica non gestita in modo 
burocratico ed autoritario (come nel sistema sovietico) ma tramite la 
partecipazione democratica e la coperazione sociale responsabile di 
lavoratori e cittadini. Cosi come nei settori dei beni pubblici  (acqua 
energia). Chi oggi parla di “beni comuni” ha scoperto l’acqua calda. E’ 
tutta roba che sta nella tradizione del socialismo democratico. Semmai 
occorre costantemente ricordare al socialismo europeo di restare fedele 
ai suoi presupposti. Questo è il vero compito di una sinistra seria. Non
 quella di pretendere di immettere iniezioni di un neocomunismo che è 
figlio di un insanabile fallimento storico. Il guaio vero è che in 
Italia la demonizzazione del socialismo italiano (che ha prodotto i 
Lombardi, i Giolitti ed i Ruffolo) ha privato la sinistra di un polo 
dialettico in grado di contribuire al suo orientamento. Il problema vero
 della sinistra italiana è la sua totale incapacità di recuperare il 
socialismo democratico.  La sua totale incapacità d una seria 
elaborazione culturale (Fabrizio Barca ha ben messo in evidenza come 
l’ultima vera elaborazione della sinistra fu quella del “nuovo corso 
socialista”  dal 1976 al 1982. Ma se in Italia si chiacchiera a vanvera 
di progressismi senza sesso di sinistre digattivate, come si fa a 
recuperare un minimo di serierà . Quando vedo i Cuperlo ed i Fassina che
 si guardano bene dal solo pronunciare la parola socialismo, come posso 
credere che costoro possano costruire una credibile alternativa a 
Peraccioni ? Non ci prendiamo in giro. Per questo io credo che, pur tra 
difficoltà enormi , vada ripreso il discorso di ricostruire una 
soggettività politico-culturale socialista. Ci sono difficoltà enormi 
perché questo (ma l’ho già detto) è un paese a cui sia Berlusconi che 
Santoro hanno fatto il lavaggio del cervello, in cui c’è un preoccupante
 e grave analfabetismo di ritorno (sia culturale che politico). Ma non 
si può neanche accettare che le cose continuino ad andare vanti così. 
Una soggettività socialista non può limitarsi a essere una sorta di 
accademia postkeynesiana. Il postkeynesismo va benissimo se si inquadra 
in un progetto di società, come magistralmente fa Giorgio Ruffolo 
(nonostante i suoi 87 anni).  Un progetto di società che è quello del 
socialismo democratico del XXI secolo come i compagni del Gruppo di 
Volpedo hanno indicato. Ho aderito al progetto della Rete Socialista 
perché si muove in continuità con il Gruppo di Volpedo. Nel suo cercare 
di costruire una soggettività politico-culturale socialista in grado di 
interlcuire con pezzi dei malandati soggetti esistenti , Ma da posizioni
 di autentica autonomia. Senza essere subalterni o caudatari delle non 
esaltanti dinamiche interne dei post-partiti esistenti.
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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