
di Carlo Felici
Discorso   del 17/12/2011 nell'aula consigliare del Comune di Tolentino,   nell'anniversario del quarantennale del conferimento della cittadinanza   onoraria a Sandro Pertini. La parte in corsivo non è stata letta per   ragioni di spazio e di tempo. Il discorso è stato integrato con una   lettura di un brano in cui Pertini ricorda Gramsci e dalla lettera che   mandò alla madre con il rifiuto sdegnato della richiesta di grazia
 Buongiorno,
Buongiorno,
ringrazio   la cittadinanza, in particolare i ragazzi e i loro insegnanti qui   convenuti, le autorità cittadine e comunali ed il sindaco di   Tolentino: Luciano Ruffini,  gli amici e compagni dell'ANPI, il suo   Presidente: Lanfranco Minnozzi, e tutti coloro che hanno reso   possibile questo incontro, a cui sono onorato di poter partecipare in   veste di oratore. Un ringraziamento particolare anche al compagno   Giuseppe Iacopini. Tengo a precisare che, anche se nel manifesto   illustrativo dell'evento, c'è scritto prof., io non sono qui in   veste di professore, e nemmeno di intellettuale socialista, ma   essenzialmente in quella di patriota, proprio per celebrare la memoria   di un grande patriota italiano: Sandro Pertini, a quarant’anni dal   conferimento della cittadinanza onoraria avvenuta con il voto unanime   del Consiglio comunale su proposta dell’allora Sindaco Roberto Massi   (Deliberazione n. 90 del 6 maggio 1971). 
P ertini,   come sapete è stato ospite della Città di Tolentino due volte, da   Presidente della Camera dei Deputati il 13 aprile 1975 e da Presidente   della Repubblica il 30 ottobre 1981. E nella prima occasione ebbe modo   di scrivere nel Registro delle visite illustri del Comune: “Al generoso e   fiero popolo marchigiano con ammirazione e con affetto”.
ertini,   come sapete è stato ospite della Città di Tolentino due volte, da   Presidente della Camera dei Deputati il 13 aprile 1975 e da Presidente   della Repubblica il 30 ottobre 1981. E nella prima occasione ebbe modo   di scrivere nel Registro delle visite illustri del Comune: “Al generoso e   fiero popolo marchigiano con ammirazione e con affetto”.
Sandro   Pertini è rimasto sicuramente nel cuore di tutti coloro che vissero   durante il suo settennato di Presidenza della Repubblica, come il   Presidente più amato dagli italiani, e così è anche per me, che   durante il suo settennato ho forse vissuto gli anni più belli della mia   vita.
 Le  sue parole, la sua immagine, in particolare,  restano scolpite  nell'animo di tutti coloro che hanno visto una Italia  sicuramente più  grande e più rispettata di quella che abbiamo oggi sotto  gli occhi.  Una Italia che entrava allora nel novero delle grandi  potenze  economiche del mondo e che riusciva a ridurre drasticamente   l'inflazione, con la crescita del suo PIL di ben 20 punti di   percentuale, anche se pure allora il rapporto debito PIL non era certo   confortante.
Le  sue parole, la sua immagine, in particolare,  restano scolpite  nell'animo di tutti coloro che hanno visto una Italia  sicuramente più  grande e più rispettata di quella che abbiamo oggi sotto  gli occhi.  Una Italia che entrava allora nel novero delle grandi  potenze  economiche del mondo e che riusciva a ridurre drasticamente   l'inflazione, con la crescita del suo PIL di ben 20 punti di   percentuale, anche se pure allora il rapporto debito PIL non era certo   confortante.
Una   Italia mai come in altri momenti in tutto il dopoguerra, così ammirata  e  rispettata e con un Presidente della Repubblica ed un Presidente del   Consiglio ambedue socialisti.
Per ricordare la vita di Pertini non   basterebbe una settimana di incontri e commemorazioni, ed io   cercherò, in questa sede, di focalizzare solo gli eventi più   salienti della sua lunga e memorabile testimonianza politica e civile.   Ricorderemo oggi specialmente i passaggi più significativi del suo   impegno sociale, morale, civile ed istituzionale e mi perdonerete se   non riuscirò a menzionarli tutti anche nei minimi particolari, come   meriterebbero.
Fu il prof. Barotono di filosofia, esegeta del   Socialismo che “iniziò” il giovane Pertini a dare senso compiuto   alle sue vocazioni e predilezioni, e questo ci fa capire quale   “miracolo” può fare la scuola e quanto debba essere tuttora   importante valorizzarla, fornendole mezzi adeguati per la sua   “missione”.
Pertini, quando scoppiò  la “grande guerra”,   fu tra quelli che, come Matteotti, gridarono “abbasso la   guerra!”, facendosi anche molti nemici tra i suoi compagni   interventisti, ma ci andò, poi, militando in prima linea ed   insegnando persino, da comandante, ai suoi “fratelli soldati”,   un metodo infallibile per raffreddare le mitragliatrici,  risparmiando  acqua preziosa: pisciarci sopra. Questo però non gli  impedì atti di  valore, come la conquista del monte Jenelik, che gli  fece meritare  la medaglia d'argento al valor miliare, un vero  scandalo per i vertici  miliari costretti a riconoscerla ad un  dichiarato pacifista e  socialista, tanto che la pratica per la sua  assegnazione andò  misteriosamente persa.
Come si possa giustificare  tutto ciò, ce lo  spiega Pertini stesso affermando: “l'amore per  l'umanità che ogni  spirito eletto e libero non può non sentire, non  esclude ma anzi  comprende l'amore per la patria”. Primo grande atto  di un grande  patriota. La  sua militanza politica inizia nel 1918 con l'iscrizione  al PSI e nel  primo dopoguerra, in particolare, dopo il delitto  Matteotti,  giunge a maturazione la sua storia di patriota antifascista  militante e  combattente. Il 22 maggio 1925 Sandro Pertini è arrestato, e  il 3  giugno condannato a 8 mesi di detenzione (oltre che al pagamento  di  un'ammenda) per avere distribuito il libello: “Sotto il barbaro   dominio fascista”, in cui rivendica la paternità di alcuni scritti   antifascisti ed attribuisce la responsabilità alla monarchia per il   perdurare del regime fascista, in particolare esprime sfiducia   nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da   filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia l’   eventuale complicità del generale Emilio De Bono nel delitto Matteotti.   In tale frangente si difende con tanto ardore e fermezza che anche i   suoi avversari lo ascoltano in piedi, ammirati, in silenzio.  Il 9   giugno 1925, alla vigilia dell'anniversario del delitto Matteotti,   aiutato da  alcuni operai, Pertini riesce ad appendere, sotto la lapide   che alla fortezza di Savona ricordava la prigionia di Giuseppe Mazzini,   una corona con un nastro rosso e la scritta: "gloria a Giacomo   Matteotti".
La  sua militanza politica inizia nel 1918 con l'iscrizione  al PSI e nel  primo dopoguerra, in particolare, dopo il delitto  Matteotti,  giunge a maturazione la sua storia di patriota antifascista  militante e  combattente. Il 22 maggio 1925 Sandro Pertini è arrestato, e  il 3  giugno condannato a 8 mesi di detenzione (oltre che al pagamento  di  un'ammenda) per avere distribuito il libello: “Sotto il barbaro   dominio fascista”, in cui rivendica la paternità di alcuni scritti   antifascisti ed attribuisce la responsabilità alla monarchia per il   perdurare del regime fascista, in particolare esprime sfiducia   nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da   filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia l’   eventuale complicità del generale Emilio De Bono nel delitto Matteotti.   In tale frangente si difende con tanto ardore e fermezza che anche i   suoi avversari lo ascoltano in piedi, ammirati, in silenzio.  Il 9   giugno 1925, alla vigilia dell'anniversario del delitto Matteotti,   aiutato da  alcuni operai, Pertini riesce ad appendere, sotto la lapide   che alla fortezza di Savona ricordava la prigionia di Giuseppe Mazzini,   una corona con un nastro rosso e la scritta: "gloria a Giacomo   Matteotti".
   Il suo studio legale viene devastato più volte e nel 1926 viene   duramente malmenato e finisce in ospedale, però evita di denunciare il   suo aggressore: un giovane operaio pagato dai fascisti. Nel   dicembre dello stesso anno, viene condannato al confino per 5 anni, in   seguito alla proclamazione delle leggi speciali anti-fasciste.
Per   sfuggire alla condanna ripara a Milano ed entra in contatto con i più   illustri militanti dell'antifascismo come Rosselli, Parri e Olivetti,   avendo l'incarico di aiutare Turati a rifugiarsi in Francia. Ci   riesce, ma Parigi non è ambiente consono per un combattente dedito   all'azione come lui, si reca quindi a Nizza, dove vive con i più   disparati mestieri e crea, con i soldi ereditati, una stazione   radio, che però il governo italiano riesce a far chiudere, Pertini   viene così condannato ma ad un solo mese, con la condizionale.
Rientra   imperterrito clandestinamente in Italia e pianifica un attentato  contro  il Duce, ma viene riconosciuto ed arrestato il 14 aprile del  1929  dopo solo 20 giorni di libertà in Patria. Partecipa con distacco  al  processo ed alla fine non manca di gridare con disprezzo:  “Abbasso il  fascismo e viva il Socialismo!” E' condannato a 10 anni e  9 mesi di  reclusione.
Si apre così la fase più dura della sua  vita: ben  14 anni di privazione della libertà, con un carcere:  Santo  Stefano ed un numero di matricola: 6955. Per il compagno  Sandro è  finita la giovinezza ma inizia una maturità di lotta  implacabile al  fascismo che lo condurrà, assieme a tanti altri  patrioti,  fino alla  vittoria.
Studia, e scrive, rivendicando  sempre energicamente i  suoi diritti.  Si ammala nel 1930 e viene  trasferito a Turi dove  incontra Gramsci, e due anni dopo nel sanatorio  giudiziario di Pianosa.
Sono  veramente toccanti i ricordi di questi  momenti, Pertini che implora,  di nascosto al grande leader  comunista, il direttore del carcere  affinché, di notte, lo  spioncino della sua cella venga chiuso senza  sbatterlo per non  interrompere il fragilissimo sonno di Gramsci, lo  stesso che invita  Pertini a dividere con lui il pranzo di Pasqua  inviatogli dalla sua  famiglia ma che, impossibilitato a ciò dalle  autorità carcerarie,  rifiuta poi di mangiarlo. Due uomini accomunati  da una stessa  passione politica e civile anche se ideologicamente  distinti, ma mai  opposti, mai conflittuali.
Rifiuta   persino in modo duro e sdegnoso ma commovente, la domanda di grazia   inoltrata dalla madre, dopo tre anni di condanna, arrivando quasi ad   una rottura con lei.
Pertini ormai ha la coscienza, pienamente   maturata nella lotta e nella sofferenza, di voler generare una    Patria libera e democratica. E' già un padre della Patria repubblicana   antifascista.
Riacquista la libertà solo nell'agosto del 1943, dopo   aver vissuto nei confini di Ponza (1935), delle Tremiti (1939) prima e  a  Ventotene poi.  Finalmente entra nella Resistenza. E' a Roma tra  le  barricate del 10 Settembre per organizzare, con Nenni e  Saragat, la  lotta armata per il Partito Socialista. La repressione  infuria in  quel periodo nella capitale, con tristissimi episodi ed  eccidi: via  Tasso, le fosse Ardeatine, la banda Koch, il  rastrellamento del  Quadraro. Pertini è ancora in prima linea e viene  arrestato di nuovo  ed interrogato dalle autorità tedesche, condotto  ancora in carcere,  pende su di lui la condanna a morte. Ma, con  spirito indomabile,  fugge di nuovo aiutato dalla Resistenza romana.
Deluso  dalla svolta  di Salerno e dalla mancata insurrezione a Roma, si  trasferisce al nord  dove organizza l'esercito di liberazione. Tra i  partigiani incontra la  sua futura moglie Carla Voltolina, che allora  operava come staffetta  partigiana.
E' tra i protagonisti  dell'insurrezione di Firenze e  in seguito ad un avventuroso viaggio tra  le Alpi, finalmente,  nell'aprile del 1945, si trova a Milano.
E  qui vorrei lasciare  allo stesso Pertini, il ricordo e la spiegazione  di tale memorabile  esperienza, con le parole tratte da un suo  celebre discorso del  1970:
“Giustamente, dunque, quando si  ricorda la Resistenza si  parla di Secondo Risorgimento. Ma tra il  Primo e il Secondo  Risorgimento protagoniste sono minoranze della  piccola e media  borghesia, anche se figli del popolo partecipano alle  ardite imprese  di Garibaldi e di Pisacane. Nel Secondo Risorgimento  protagonista è il  popolo. Cioè guerra popolare fu la guerra di  Liberazione. Vi  parteciparono in massa operai e contadini, gli  appartenenti alla  classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i  figli suoi  migliori fieramente affrontare le condanne del tribunale  speciale al  grido della loro fede.
Non dimentichiamo, onorevoli  colleghi,  che su 5.619 processi svoltisi davanti al tribunale  speciale  4.644 furono celebrati contro operai e contadini.
E  la classe  operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi  durante  l'occupazione nazista, scioperi politici, non per  rivendicazioni  salariali, ma per combattere la dittatura e lo  straniero e centinaia  di questi scioperanti saranno, poi, inviati  nei campi di sterminio  in Germania. Ove molti di essi troveranno una  morte atroce.
Saranno  i contadini del Piemonte, di Romagna e  dell'Emilia a battersi e ad  assistere le formazioni partigiane. Senza  questa assistenza offerta  generosamente dai contadini, la guerra di  Liberazione sarebbe stata  molto più dura. La più nobile espressione  di questa lotta e di questa  generosità della classe contadina è la  famiglia Cervi. E saranno  sempre i figli del popolo a dar vita alle  gloriose formazioni  partigiane.
Onorevoli colleghi, senza questa  tenace lotta della  classe lavoratrice - lotta che inizia dagli  anni '20 e termina  il 25 aprile 1945 - non sarebbe stata  possibile la  Resistenza, senza la Resistenza la nostra patria sarebbe  stata  maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta   costituzionale e la Repubblica.
Protagonista è la classe   lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dà un contenuto   popolare alla guerra di Liberazione.
Ed essa diviene, così, non   per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del   nostro paese. Questo posto se l'è duramente conquistato e non intende   esserne spodestata.” Queste  sono parole molto chiare e  significative che fanno giustizia, una  volta per tutte, di ogni  falso”revisionismo”, di ogni  atteggiamento inopinatamente  mistificatorio su una guerra di  Liberazione che ebbe valore e spessore  popolare, fu inesorabilmente  lotta di popolo, per una Patria del  popolo.
Queste  sono parole molto chiare e  significative che fanno giustizia, una  volta per tutte, di ogni  falso”revisionismo”, di ogni  atteggiamento inopinatamente  mistificatorio su una guerra di  Liberazione che ebbe valore e spessore  popolare, fu inesorabilmente  lotta di popolo, per una Patria del  popolo.
Pertini è in piazza  il 25 Aprile a celebrare la vittoria  di quel “popolo” che egli  sottolinea “capace delle più grandi cose  quando lo anima il soffio  della libertà e del socialismo”.
E la  sua umanità e il suo senso  di giustizia, pur avendo patito il dolore  di lunghi anni di  privazione della libertà, non cedono mai al  rancore, nemmeno a  Piazzale Loreto, lucida è la sua testimonianza:
"...I  corpi non  erano appesi. Stavano per terra e la folla ci sputava  sopra,  urlando. Mi feci riconoscere e mi arrabbiai: «Tenete  indietro la  folla!». Poi andai al CLN e dissi che era una cosa  indegna:  giustizia era stata fatta, dunque non si doveva fare  scempio dei  cadaveri. Mi dettero tutti ragione: Salvadori,  Marazza,  Arpesani, Sereni, Longo, Valiani, tutti. E si  precipitarono a  piazzale Loreto, con me, per porre fine allo  scempio. Ma i  corpi, nel frattempo, erano già stati appesi al  distributore della  benzina. Così ordinai che fossero rimossi e portati  alla morgue.  Io, il nemico, lo combatto quando è vivo e non  quando è morto.  Lo combatto quando è in piedi e non quando giace per  terra".
Finisce  quindi la fase del patriota impegnato nella  lotta armata ed inizia  quella del patriota dedito ad una lotta non meno  dura e implacabile  come giornalista, parlamentare, Presidente della  Camera ed infine  della Repubblica.
Dal 1945 al 1947 Pertini vive gli eventi con il suo consueto carattere passionale e anticonformista.
Esponente di spicco del partito socialista, ne diventa segretario nel 1945, viene eletto alla Costituente e poi, da deputato, sarà direttore dell' "Avanti!" negli anni 1945-1946.
Si   schiera contro Saragat per evitare ogni eventuale rottura con i   comunisti e lotta aspramente contro ogni forma di facile amnistia per i   trascorsi crimini fascisti.
Ma evita anche di sostenere posizioni   “fusioniste” verso il PCI, interrompendo per questo, dopo soli   4 mesi, la sua esperienza alla segreteria del partito socialista.   A lui infatti preme l'unità del suo partito non meno della “unità   organica della classe operaia” E non esiterà per questo, in una   intervista rilasciata al quotidiano allora di sinistra Epoca a   denunciare il fatto che nel Partito Comunista, a suo dire, “permane   una mentalità autoritaria” e che piuttosto il Partito Socialista deve   esercitare una missione di “mediatore tra il mondo occidentale ed   orientale”, senza alcuna forma di subordinazione a Mosca,   guardando in particolare al successo degli altri partiti socialisti in   Europa.
E' l'unico socialista che va a palazzo Barberini in un   disperato tentativo di scongiurare l'imminente scissione e senza   accusare di tradimento gli scissionisti. Alla fine di aprile del   1947 inizia a dirigere “il lavoro nuovo di Genova” e continuerà a   farlo per altri 21 anni, sviluppando già da allora i temi   significativi dell'impegno socialista su questioni cruciali come la   crisi del maggio-giugno del 1947, il piano Marshall, il trattato   di pace, la costituzione del Cominform e la politica della Democrazia   Cristiana.
 Nel  1948 la sua passione politica torna a  galvanizzarsi. Al XXVI  congresso prende netta posizione contro  l'eventualità di presentare  liste comuni con i comunisti, viene  sconfitto e non entra nella nuova  direzione del partito, gettandosi  nell'agone elettorale, e  nonostante come membro della Costituente e la  lunga prigionia sotto il  fascismo gli garantiscano un seggio  parlamentare di diritto. E'  questo il periodo anche un po' ingenuo  dell'esaltazione di alcune  conquiste della Unione Sovietica. Ma anche  quello dei limiti della  socialdemocrazia europea succube della ferrea  logica della guerra  fredda.
Nel  1948 la sua passione politica torna a  galvanizzarsi. Al XXVI  congresso prende netta posizione contro  l'eventualità di presentare  liste comuni con i comunisti, viene  sconfitto e non entra nella nuova  direzione del partito, gettandosi  nell'agone elettorale, e  nonostante come membro della Costituente e la  lunga prigionia sotto il  fascismo gli garantiscano un seggio  parlamentare di diritto. E'  questo il periodo anche un po' ingenuo  dell'esaltazione di alcune  conquiste della Unione Sovietica. Ma anche  quello dei limiti della  socialdemocrazia europea succube della ferrea  logica della guerra  fredda.
Dal 1953 al 1957 l'impegno di  Pertini è  caratterizzato dal duro scontro parlamentare contro la legge  truffa,  ma quelli sono anche gli anni della rivolta di Berlino e dei  fatti di  Ungheria che vedono, ad onor del vero, Pertini elogiare  anche  Stalin, da vivo e da morto. Una cosa, ricordando tali  eventi,  va però ricordata con onestà e fermezza, se egli associa il  nome del  dittatore sovietico alle grandi realizzazioni del socialismo e   soprattutto alla vittoria nel secondo conflitto mondiale, mai troviamo   da parte sua parole di comprensione o approvazione, che altri in  quel  periodo pronunciano esplicitamente nel PCI e che poi  rinnegheranno,  per le purghe e per i terribili processi allora in  corso nell'Europa  centrale ed orientale.
Sono anni in cui l'impegno  del patriota  Pertini viene ribadito nella necessità, come lui stesso  afferma, di  “difendere la Patria contro chiunque tenti di  aggredirla”.
Sui  fatti di Ungheria è inizialmente cauto, per poi  assumere nel gennaio  del 1957 un atteggiamento decisamente critico  verso le posizioni del  partito comunista italiano a cui rimprovera di  non avere tratto le  doverose conclusioni dalle conseguenze del XX  congresso del PCUS.
Dal  1958 al 1963 Pertini, come  deputato, si afferma sempre di  più sul piano nazionale, partecipa  attivamente alla crisi Tambroni  del 1960, scende in piazza con i  dimostranti a Genova, sostenendo  in sede giudiziaria gli imputati per  quei fatti, senza mancare un solo  giorno di udienza.
Pertini  lotta ancora strenuamente in quegli anni  per l'unità del partito e per  la sua autonomia in un periodo cruciale  caratterizzato dall'opera di  straordinari personaggi come Kennedy e  Giovanni XXIII, ai quali  dedicherà pagine di grande simpatia ed  apertura, oltre che di  fiducia, nella nuova prospettiva di una più  autentica e duratura pace  mondiale.
Dal 1964 al 1969,  attraverso l'esperienza del  centrosinistra, cruciale per Pertini è  il 1968, che lo vede  eletto per la prima volta Presidente della  Camera dei Deputati.
Alla  partecipazione al secondo governo Moro,  nel 1964, però egli nega  il proprio voto, e spesso esprime disagio  ed apprensione per la  partecipazione dei socialisti più al sottogoverno  che al governo del  Paese, nel suo consueto stile schietto e  battagliero.
In politica  estera la sua condanna dell'invasione della  Cecoslovacchia è netta, e  il 24 Gennaio del 1969 fa celebrare  alla Camera il sacrificio  del giovane Jan Palach immolatosi per la  libertà del suo popolo. Non  mancano, in quegli anni cruciali di  lotte e di crisi delle due  superpotenze, le sue battaglie libertarie  anche in favore dei popoli  oppressi dalle dittature e dai regimi  militari in Occidente, contro  il regime di Franco in Spagna e quello  dei colonnelli in Grecia, e  più tardi anche contro la tirannia  militare cilena.
Negli anni  successivi il suo impegno non si  esaurisce e resta una testimonianza  indelebile di difesa strenua delle  istituzioni democratiche sotto  l'attacco del terrorismo che culmina con  l'assassinio di Aldo Moro.  La reazione democratica dello Stato  coincide proprio con la sua  elezione a Presidente della Repubblica  l'8 luglio 1978, con  voto quasi unanime del Parlamento (832  voti su 995 votanti).
Gli  anni del Presidente della  Repubblica Pertini, sono quanto di più  bello abbia potuto produrre la  storia della nostra pur fragile e  giovane Repubblica Democratica. Una  pagina indelebile di umanità,  semplicità e fermezza e forza  comunicativa, in un periodo terribile  per gli attacchi della  criminalità e del terrorismo e per i nuovi  allarmanti segnali  dell'acuirsi del confronto tra est e ovest, con  nuove e micidiali armi  missilistiche transcontinentali. Negli anni  della sua presidenza,  Pertini manifesta più volte con grande  determinazione il suo impegno  nella lotta per tutelare i diritti umani,  si schiera contro l'apartheid in Sudafrica, contro le dittature sudamericane, così come contro l'intervento sovietico in Afghanistan.
Grande   comunicatore, dimostra in tutte le occasioni ufficiali una   straordinaria schiettezza e, al tempo stesso, un grande equilibrio, che   conferiscono alle sue parole una dimensione   universale. Nessun capo  di  stato o uomo politico italiano ha conosciuto all'estero una  popolarità  paragonabile a Sandro Pertini, ovunque, nelle sedi più  disparate. Gli  vengono conferite lauree honoris causa dalle  più prestigiose  università, diventa Accademico di Francia, e gli organi  di informazione  stranieri lo ricercano in continuazione. Con lui  l'immagine dell'Italia  nel mondo fa un tale salto di qualità che  risulta tuttora irripetuto.
Sempre,  nelle occasioni più tragiche e  in quelle più festose, la  testimonianza del Presidente più amato  dagli italiani è momento di  conforto, di speranza e di gioia, oltre  che di fermezza  inflessibile, nell'affrontare i nemici della  democrazia, e di  amorevole pazienza per propiziare il superamento dei  passaggi più  cruciali della nostra storia.
Costante è la sua  presenza nei casi  umani più tragici della nostra storia recente: e  potremo citarne  molti, tutti contraddistinti dallo stesso filo  conduttore :  severità verso i responsabili, umanità verso le  vittime e commossa  partecipazione nella tragedia. Ricordiamo tra i  tanti: Vermentino,  la tragedia dell'Irpinia, e ancora le  innumerevoli morti di vittime  innocenti ed eccellenti, in particolare  il giorno della strage di  Bologna, quando è l'unico ad essere  applaudito dalla folla ed in  lacrime dice: «non ho parole, siamo di  fronte all'impresa più  criminale che sia avvenuta in Italia».
Memorabili le sue parole contro la mafia da lui definita “la nefasta attività contro l'umanità”
Ogni   volta, in ognuna di tali occasioni, la sua voce tuona  letteralmente  di indignazione, di furibonda e sincera ira verso i  colpevoli e  scende come una tenera carezza a consolare le tante  famiglie delle  vittime che se lo trovano sempre accanto, con affetto  come uno di  loro, uno di noi, un fratello, un padre, un nonno.
Il  suo  spirito di indomito lottatore, spesso acre, mordace e ironico  trova  modo di stemperarsi e di manifestarsi in un linguaggio pacato e   persuasivo, sempre proteso alla tutela dei valori della Costituzione.
Alla   sua morte, il 24 febbraio del 1990 all'età di 94 anni, gli italiani   hanno pianto non solo la scomparsa di un loro caro amico e compagno, ma   anche quella di un'epoca di grande passione ed impegno civile.
Citiamo adesso alcuni brani tratti da alcuni suoi celebri discorsi o interviste:
“Più   volte ho fatto il bilancio della mia vita e tutte le volte sono   arrivato a questa conclusione: se si avverasse per me il miracolo di   Faust e mi fosse dato di ricominciare da capo, prenderei la stessa   strada che presi ventenne nella mia Savona, e la percorrerei con la   fede, la volontà e l'animo di allora, pur sapendo di doverne pagare il   prezzo, lo stesso prezzo che ho pagato, così, giunto al termine della   mia giornata, mi volgo a guardare la strada che ho percorso, e mi sembra   di avere speso bene la mia vita.”
 “Oggi la nuova resistenza in   che cosa consiste. Ecco l'appello ai giovani: di difendere queste   posizioni che noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la   democrazia. E cioè, oggi ci vuole due qualità a mio avviso cari   amici: l'onestà e il coraggio. L'onestà... l'onestà...   l'onestà. [...] E quindi l'appello che io faccio ai giovani è   questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto: la politica   deve essere fatta con le mani pulite. Se c'è qualche scandalo. Se   c'è qualcuno che da' scandalo; se c'è qualche uomo politico che   approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve   essere denunciato!”
“Per me libertà e giustizia sociale, che poi   sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile:   non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non   vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me   socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di   carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei,   non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia   sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare   veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non   ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli   e educarli? Questo non è un uomo libero.”
“L'Italia, a mio   avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli   arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita   per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro   popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della   terra. Questa è la strada, la strada della pace che noi dobbiamo   seguire.”
Vorrei chiudere questo mio intervento commemorativo   con l'esortazione a considerare l'esempio e la testimonianza del   Patriota Pertini come faro di luce nel buio di una contingenza afflitta   da perduranti problemi di ingiustizia sociale e di pericoli di guerra,   ed in particolare, per questi giorni della nostra Patria, tuttora   offesa dalla criminalità e dalla corruzione. Oggi gli arsenali non   vengono ancora svuotati, ma sono piuttosto riempiti con armamenti e   bombardieri sempre più sofisticati e costosi. E i granai, la   sussistenza e in vari casi ormai la stessa sopravvivenza per la gente   più povera del nostro Paese, fin anche la dimora stessa in cui   ciascuno non può fare a meno di abitare, si impone che abbiano costi   sempre crescenti, fino a diventare insopportabili, e che la stessa   vita dedicata al lavoro non trovi, nel suo inevitabile crepuscolo,   un compimento di pace e di riposo, ma si debba andare incontro ad una   quiescenza, per altro sempre dilazionata nel tempo, nella   marginalizzazione e nella povertà. La giustizia sociale è, oltre   tutto, in vari casi ancora oggi vilmente asservita alla libertà ed ai   privilegi di pochi che non sono mai disposti a rinunciarvi.
Questo   dovrebbero considerarlo in particolar modo i giovani che non hanno   attualmente, nella classe politica dirigente al potere, purtroppo,   sufficienti esempi di grande onestà, saggezza e trasparenza morale e   civile, come quello che seppe darci Sandro Pertini.
Vedete,  cari  giovani, certe virtù non piovono dal cielo, né basta  insegnarle se  poi non si è pronti a viverle e a testimoniarle con la  propria vita,  come fecero tanti altri giovani come voi, sulle  montagne di questi  luoghi bellissimi che essi hanno irrorato con il  loro purissimo sangue.
Certe  virtù possono solo sgorgare da un animo  libero, che rifiuta  sdegnosamente la “grazia accomodante” di  servire il potere in cambio  di vantaggi e clientele, o per affermarsi  o tanto meno per  sopravvivere, così come fece Sandro Pertini,  quando rifiutò di  chiedere la grazia e si incamminò pazientemente  verso altri lunghi e  dolorosi anni di carcere, senza sapere se,  all'uscita di quel  tunnel, ci sarebbe stata ancora una luce.
La  luce, anche nel  cammino più buio, bisogna conservarla dentro di  noi, come diceva un  altro grande martire dell'antifascismo,  compagno ed amico fraterno di  Sandro Pertini: Carlo Rosselli “La  nostra missione è quella di tener  duro quando tutti cedono; di alzare  la fiaccola dell'ideale nella  notte che circonda; di anticipare con  l'intelligenza e l'azione  l'immancabile futuro.”
Io sono venuto,  per questo, qui, come  un umile tedoforo, per consegnarvi questa  sacra fiaccola affinché voi la  facciate ardere e risplendere ed  impediate che nel futuro si spenga.
E  non si spegnerà se nelle  piazze, nelle città, nei paesi, nelle  fabbriche, nelle scuole,  nei luoghi delle amministrazioni civili e  politiche, la gente  tornerà a lottare e non resterà chiusa in casa a  farsi indottrinare da  uno schermo televisivo, se anche i nuovi  strumenti di comunicazione  tecnologica diventeranno rete di lotta e di  emancipazione civile, per  la condivisione di un impegno comune di  giustizia e di libertà.
Siamo  oggi di fronte ad un momento  particolarmente cruciale e difficile  nella storia del nostro paese e  rischiamo anche questa volta di subire  un'altra dittatura non meno  subdola e feroce: quella del mercato,  della speculazione e del  profitto.
Non dobbiamo rassegnarci a  consegnare permanentemente il  nostro destino nelle mani di “tecnici  esperti” affinché lo rendano  compatibile con gli obiettivi di un  nuovo ed ancor più potente  autoritarismo. Perché il destino di un  Paese, specialmente in una  democrazia che sia tale di fatto e non  solo di nome, è del popolo.  E' nostro e solo nostro!
Dobbiamo  quindi riprendere nelle nostre  mani la capacità di gestirlo, e di  orientarlo, con grande coraggio e  senso di responsabilità, anche se  il mondo ci appare troppo piccolo  per le nostre aspirazioni o troppo  grande per la nostra capacità di  reagire.
Ricordo con nostalgia e tenerezza la finale dei campionati del mondo vinti dall'Italia nel 1982, quando, assistendo al terzo gol, Pertini si alzò in piedi con il dito levato verso l'alto, e, scuotendolo forte, gridò al cancelliere Schmidt che era lì vicino a lui: “No, no, non ci riacchiappate più!” Erano compagni socialisti, prima ancora che responsabili dei governi di due fondamentali Paesi europei, e la partita, da noi vinta con un secco 3-1, si concluse poi con un abbraccio tra i due.
Ebbene, lo stesso Schmidt, ormai noventaduenne e su una sedia a rotelle, pochi giorni fa, non ha voluto mancare al recente appuntamento del congresso dell'SPD, levando alta la sua voce ed ammonendo che (cito un articolo uscito di recente su L'Unità):
- «Dobbiamo avere nel cuore un sentimento di compartecipazione verso i nostri amici e i nostri vicini», non solo per ragioni morali, ma anche perché, senza integrazione, tutti gli stati d`Europa, anche quelli forti, sarebbero oggetto di una marginalizzazione in un mondo in cui si va affermando la forza degli altri continenti e in cui la loro quota percentuale di ricchezza e potenza economica sarà sempre minore.
Egli ha ribadito con molta chiarezza che per sopravvivere, «a lungo termine sarà inevitabile un indebitamento comune di tutta l`Unione». E che la strada giusta è proprio nel rispetto di quest`obbligo alla solidarietà comune che gli stati dell`eurozona dovrebbero evidenziare, accordandosi presto su «stretti criteri di regolazione dei mercati finanziari». Poche migliaia di operatori sui mercati «hanno preso in ostaggio le responsabilità politiche in Europa: ora è arrivato proprio il tempo di ribellarsi». Per farlo sarebbe necessario puntare anche sugli strumenti dell`indebitamento comune. A questi strumenti, ha aggiunto l`ex cancelliere, polemizzando contro il no del governo Merkel agli eurobond, e a un ruolo più ampio della Bce, «noi tedeschi non dovremmo opporre un rifiuto egoistico». Tanto più che, anche se i governi «non fanno alcunché per renderne consapevoli i cittadini», l`interesse comune a una maggiore integrazione è destinato a crescere per ragioni oggettive. Lo afferma uno che ha contribuito a far crescere la casa europea, che «intanto è diventato vecchissimo» con le stesse idee e la stessa fiducia e che non condivide l`europessimismo diffuso. «Tutte le chiacchiere su una presunta crisi dell`euro sono superficialità» diffuse da certi politici e dai media. L`euro è più forte del dollaro e del marco negli ultimi tempi della sua esistenza. -
 L'Italia   e l'Europa hanno oggi bisogno più che mai del Socialismo di Sandro   Pertini e di  Helmut Schmidt, fondato su una vera e propria “rivoluzione   morale e civile”,  ma tale nobile intento non può essere affidato  ad una istituzione  monetaria, ad un partito di proporzioni minimali, e  tanto meno ad una  corrente di partito subordinata a logiche di potere e  di accomodamento  politico sostanzialmente diverse o distanti dagli  obiettivi del  Socialismo europeo e globale. L'Italia ha bisogno di un  grande partito  del Socialismo Democratico Europeo, come la SPD e come  altri che  tuttora, pur con severe autocritiche ed emendando errori  passati,  riescono validamente a contribuire al progresso dei popoli  europei e  della grande famiglia politica del PSE. Esso può nascere solo  da una  valida scomposizione e da un conseguente riassemblamento, su  base  socialista e democratica, di tutta la sinistra italiana, mediante  la  progressiva esautorazione dei vertici di partito ed un autentico   rinnovamento che provenga dal basso, essenzialmente con il metodo   validamente sperimentato delle primarie.
L'Italia   e l'Europa hanno oggi bisogno più che mai del Socialismo di Sandro   Pertini e di  Helmut Schmidt, fondato su una vera e propria “rivoluzione   morale e civile”,  ma tale nobile intento non può essere affidato  ad una istituzione  monetaria, ad un partito di proporzioni minimali, e  tanto meno ad una  corrente di partito subordinata a logiche di potere e  di accomodamento  politico sostanzialmente diverse o distanti dagli  obiettivi del  Socialismo europeo e globale. L'Italia ha bisogno di un  grande partito  del Socialismo Democratico Europeo, come la SPD e come  altri che  tuttora, pur con severe autocritiche ed emendando errori  passati,  riescono validamente a contribuire al progresso dei popoli  europei e  della grande famiglia politica del PSE. Esso può nascere solo  da una  valida scomposizione e da un conseguente riassemblamento, su  base  socialista e democratica, di tutta la sinistra italiana, mediante  la  progressiva esautorazione dei vertici di partito ed un autentico   rinnovamento che provenga dal basso, essenzialmente con il metodo   validamente sperimentato delle primarie.
Perché   il “socialismo” non è, come qualcuno inavvedutamente vorrebbe   farci credere, “un errore antropologico”, una sorta di   “deviazione umana” da scopi spiritualmente più nobili.  No,   cari, compagni, amici e compatrioti, il socialismo è tuttora,   come ha testimoniato Sandro Pertini sempre, con inarrestabile   fermezza nel corso della sua lunga vita, e come testimoniano ancora   validamente decine di milioni di persone nel mondo, in particolare dal   Sudamerica all'Europa, una delle migliori risposte alla tirannia di   un mondo dominato esclusivamente dalla  volontà di profitto,   dall'egoismo, di pochi a danno della felicità, della vita e della   sopravvivenza di molti. E'  quella dittatura che, prima ancora di  mandarvi in una prigione, o  in un confino, ne costruisce una su  misura per ogni coscienza,  confinandovi solo in voi stessi e  distruggendo sistematicamente,  privatizzando o facendo scadere gli  strumenti formativi di una  società libera: le scuole, le  università, la cultura e tutti i  luoghi della sua creazione. Oggi,   secondo l'implacabile totalitarismo del profitto, l'unica libertà   che ci è concessa è quella di competere, come merci, nel mercato.   Se, in tale orizzone liberticida, non siamo “merce di valore”,   siamo destinati a non contare nulla, o se non contiamo più, a   svendere tutto quello che abbiamo conquistato con duri sacrifici, per   continuare a sopravvivere. E la conseguenza di tutto ciò produce   giovani ridotti sul lastrico di una avvilente e perdurante precarietà,   lavoratori cinquantenni considerati “rottamabili”, anziani   impossibilitati a sopravvivere con pensioni non più adeguate al costo   della vita, disabili privati dell'assegno di accompagnamento o del   sostegno nelle scuole. I  ragazzi della Resistenza sacrificarono la  loro migliore gioventù perché  si avesse uno Stato sociale migliore di  quello che, nel suo aberrante  razzismo e totalitarismo, il fascismo pur  ebbe, non affrontarono il  martirio per vederlo abrogare del tutto, non  per stare addirittura  peggio, per scardinare il sistema pensionistico e  le tutele dei  lavoratori! Se si è lottato  duramente un tempo, a  maggior ragione, dobbiamo lottare  efficacemente e ancor di più oggi,  con con  tutti i mezzi che  abbiamo, soprattutto quelli della  comunicazione, della formazione e  dell'impegno politico. Affinché   la nostra libertà, la nostra dignità umana non venga più delegata o   svenduta ai plutocrati (che per altro non esitano a dichiarare   apertamente di riconoscersi nel duce del fascismo) i quali, nel loro   monopolio, la crocifiggono prima sulle antenne sopra i tetti, e   l'appiattiscono poi su quegli schermi che equivalgono alla parete di una   caverna in cui si resta servi, destinati a confondere le ombre con  la  realtà, grigi ed inconsistenti, esattamente come le ombre. Ecco,  io  spero oggi di avere un poco contribuito a segnare il sentiero che  porta  fuori da quella caverna, anima e corpo, magari ancora in  montagna,  come nuovi e non meno agguerriti patrioti, alla luce di  un sole che,  da sempre, è quello del nostro migliore avvenire e..ne  sono  convinto, vinceremo!
  Grazie
C.F.
 

 
