giovedì 6 marzo 2014

MANFREDI MANGANO PSI - RIFLESSIONI SULLA CRISI UCRAINA....

di Manfredi Mangano*

La situazione ucraina, purtroppo, è tutto fuorchè semplice: sono già state menzionate sommariamente in quest'Aula le linee di faglia geolinguistiche che attraversano il Paese. Ad oggi, però, la situazione sul campo è già diventata notevolmente più complessa di una mera divisione tra filo-russi e filo-ucraini. Se infatti a Donetsk e nell'estremo Est del Paese la mobilitazione della popolazione russa e russofona è di segno marcatamente filo-putiniano, se non apertamente secessionista, a Odessa, Dnipnopetrovks e Kharkov la situazione è più contestata e vede filo-russi e filo-ucraini confrontarsi in manifestazioni e azioni dimostrative da cui emerge chiara una non condivisione, anche all'interno della popolazione russofona, di programmi secessionisti.
In Crimea, il sentimento popolare è certamente favorevole al Cremlino: in ogni caso, non dobbiamo dimenticare che il modo in cui si è arrivati alla nomina dell'attuale premier filo-russo, seguendo per filo e per segno la linea di Putin durante la crisi, non sarebbe meno illegale dell'estromissione di Yanukovich. Il primo ministro della Crimea appartiene infatti al partito extraparlamentare dell'Unità Russa, che ha ottenuto solo il 4,2% dei voti alle precedenti elezioni regionali, ed è stato nominato coni un voto del Parlamento locale sotto lo sguardo vigile di dimostranti armati e "unità di autodifesa", perdipiù contravvenendo alle leggi ucraine, che intestano al Governo la nomina dei governatori regionali (medesimo fenomeno si è poi ripetuto a Donetsk e nelle altre città dell'Est, senza peraltro passare dai Parlamenti locali, ma con l'auto-proclamazione a governatori dei capi-dimostranti).

D'altro canto, nonostante il "regime change" a livello di governo centrale sia avvenuto in maniera formalmente corretta, non si possono dimenticare alcune questioni cruciali:

1 - L'accordo tra Governo e opposizioni che era stato mediato dall'Unione Europea poco prima prevedeva dimissioni spontanee di Yanukovich e nuove elezioni presidenziali e politiche a breve, con la formazione in ogni caso di un governo di unità nazionale per svolgere riforme costituzionali e politiche: questo accordo è stato violato dalle opposizioni, che si sono servite di un gruppo di oligarchi dell'Est e del Sud guidati da Petro Poroshenko, ricchissimo magnate del cioccolato di supposte tendenze "di centrosinistra", ma già fermo sostenitore di Leonid Kuchma, il Presidente precedente la Rivoluzione Arancione. Uomo noto per gli omicidi di giornalisti e la corruzione endemica, da cui Poroshenko si distaccò poco prima della Rivoluzione Arancione presentendo l'aria che cambiava, per poi tornare a fianco del Partito delle Regioni (che del blocco politico-criminale di Kuchma è emanazione e che era il partito di Yanukovich) quando la coalizione liberalconservatrice di Yushenko franò definitivamente. Poroshenko ha organizzato la rivolta di altri oligarchi, timorosi di non trovare un posto nel nuovo ordine, che hanno portato in dote all'opposizione circa 90 deputati, sufficienti per sfiduciare il Governo e il Presidente.

2 - Uno dei primi atti del nuovo Governo è stato emanare un decreto con cui venivano abolite le garanzie linguistiche per le minoranze russe, moldave e romene, gettando ulteriore benzina sul fuoco.

3 - A peggiorare ulteriormente la situazione, esponenti di Svoboda e di Pravy Sektor, partiti nazionalisti con tendenze xenofobe e antisemite che sono però stati in prima linea negli scontri di piazza, sono stati nominati al Governo in posizioni cruciali per la difesa, la sicurezza e l'ordine pubblico, senza dubbio riscuotendo le "cambiali" accumulate con i leader dell'opposizione e la stessa opinione pubblica.

In questo contesto, è chiaro che l'attuale classe dirigente ucraina è lungi dal rappresentare qualcosa di realmente alternativo a Yakunovich e al suo sistema di clientelismo corrotto: se non altro perchè attualmente si regge in Parlamento proprio sul sostegno dei più smaccatamente corrotti e clientelari suoi uomini.

La questione della repressione e del pericolo autoritario. Yanukovich è stato Primo Ministro negli ultimi anni di Presidenza di Leonid Kuchma: come tale, definirlo "sincero democratico" è qualcosa di lunare. Ciononostante, gli osservatori internazionali non hanno rilevato significative violazioni dei diritti politici della popolazione ucraina dopo la Rivoluzione Arancione, e l'elezione di Viktor Yanukovich alle Presidenziali 2010 è stata ritenuta complessivamente "free and fair".

Detonatore delle proteste, a fianco della rabbia crescente verso il malcostume (fenomeno, occorre dirlo, endemico nella classe politica ucraina, caratterizzata da un tasso di trasformismo e di dipendenza dai poteri privati allarmante) è stata la decisione di Yanukovich di congelare il cammino verso l'Unione Europea, per rivolgersi all'Unione Eurasiatica nascente patrocinata da Putin, in cambio di aiuti finanziari a fondo perduto per 15 miliardi di dollari e di un ulteriore sconto sul gas: un "boccone avvelenato", senza dubbio, per attirare Kiev nell'orbita del Cremlino, ma non certo una scelta autoritaria e suicida, considerato che certamente riscuoteva l'approvazione della popolazione russa e russofona, dei comunisti e di altre forze non "etniche". Inoltre, al di la delle sicure esagerazioni sui numeri, le dichiarazioni dell'ex premier Azarov sul fatto che l'adesione all'UE sarebbe costata tantissimo all'Ucraina, in termini di aggiustamento strutturale, è certamente giustificata: l'economia ucraina è salvo poche eccezioni in uno stato complessivamente fatiscente, e una adesione all'UE sarebbe seguita da misure di aggiustamento strutturale durissime, non controbilanciati dagli aiuti UE.

E' evidente che una prospettiva del genere sarebbe invisa all'Est industriale, che ne pagherebbe il costo sociale ed economico diretto, mentre sarebbe più tollerabile, se non auspicabile per l'Ovest agricolo e legato ai mercati e alla cultura polacca, che beneficerebbe della fine delle barriere doganali e degli aiuti della PAC, e alla borghesia emergente di Kiev e delle grandi città, che spera in nuove opportunità di viaggiare e cercare fortuna a Ovest e in uno Stato meno sclerotizzato e corrotto.

In questo contesto, appare legittima sia la scelta di Yanukovich di non firmare l'accordo con la UE, sia le manifestazioni di segno contrario, è la normale dialettica democratica: da un lato, Yanukovich ha erroneamente impostato su una piattaforma di scontro la relazione con la piazza, emanando una serie di decreti che restringevano i diritti di parola e di associazione e riunione per motivi di sicurezza, dall'altro l'opposizione stessa si è mostrata ben poco determinata a un compromesso con l'altra parte. L'intervento di forze estremiste da una parte e dall'altra ( i "Berkut", teste di cuoio note per la loro stretta connessione con l'entourage politico-criminale al potere, e i titushki, giovani palestrati dell'Est, contro le milizie di Svoboda e di Pravy Sektor, di derivazione skinhead) ha fatto precipitare il confronto a un livello militare, con circa 90 morti, di cui almeno 10-20 tra le forze dell'ordine, segno di una battaglia in piazza non unidirezionale.

Che fare ora ?

Non è accettabile una frammentazione dell'Ucraina, ma alle attuali condizioni, è folle pensare a una Ucraina integrata nell'UE e ancor più nella NATO, a meno che non si voglia la divisione del Paese. Tantopiù che lo Stato ucraino è vicino al default, e per ottenere gli aiuti UE necessari a colmare i rialzi tariffari e la fine dei fondi russi dovrebbe affidarsi alle condizioni da strozzinaggio del Fondo Monetario Internazionale.
L'unica soluzione credibile è la creatività: i rapporti UE-Ucraina potrebbero ispirarsi al framework in cui oggi sono regolati i rapporti con la Turchia, di fatto una quasi adesione al mercato interno senza però le strettoie politico-economiche, e lo stesso potrebbe darsi per l'Unione Eurasiatica. Non si può pretendere, realisticamente, che il Paese resti unito in caso di scelte geopolitiche unilaterali: l'Ucraina non è solo un Paese composito per cultura e vocazioni, è in ogni caso una terra di frontiera tra due sfere di influenza.
E' comprensibile che la diplomazia USA lavori ("Fuck the EU!", come venne intercettata l'ambasciatrice) per espandere la NATO a Est, se necessario spartendosi il Paese: l'Europa è chiamata a una posizione diversa, più realistica e più rispondente non solo ai nostri bisogni energetici, ma anche ai reali bisogni del popolo ucraino. Che non ha bisogno della macelleria sociale del FMI e che non vuole la guerra civile, sul cui fuoco pure tanti avvoltoi interessati soffiano.

Al contempo, l'Ucraina ha bisogno di riforme economiche e politiche, che non possono però essere realizzate in una società così divisa: c'è bisogno quindi un nuovo framework costituzionale inclusivo e consociativo, fondato su un regime parlamentare o al più semipresidenziale, un sistema elettorale proporzionale, e un reale decentramento amministrativo e regionale, con Governatori direttamente eletti, poteri più incisivi per le regioni e una autonomia rafforzata per la Crimea, oltre a garanzie per le minoranze etniche, linguistiche e religiose.

 Consiglio Nazionale PSI*

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