martedì 7 gennaio 2014

LA DERIVA - di Giuseppe Giudice

di Giuseppe Giudice
Renzi più che a Fonzie somiglia ad un Pieraccioni prestato alla politica. Con più cattiveria. Ma è come se un personaggio dei film del comico toscano diventasse segretario del maggior partito italiano (o post-partito come qualcuno ha scritto). Talvolta la realtà supera la fantasia, soprattutto nella Italia della II Repubblica. Ma , come ho cercato di spiegare, il nuovo Pieraccioni è il frutto dela deriva inevitabile di un partito senza identità Tentare di contestare il Pieraccioni non mettendo in discussione le radici fondative del PD è pura follia. Il limite dei Bersani, Epifani e Pittella è stato proprio questo, pensare di costruire qualcosa che somigliasse alla socialdemocrazia senza superare e mettere in discussione il PD e la sua fondazione. Del resto mi si potrebbe fare una obiezione più che fondata : ma come è possibile che dirigenti del PD possano mettere in discussione le ragioni (molto malferme) su cui il PD si è fondato. Sarebbero in palese contraddizione con se stessi. Per cui hanno solo tentato di dare una "interpretazione estensiva" di quelle malferme ragioni fondative. Il che ha solo fatto crescere la confusione. E comunque un partito senza identità può reggersi solo su un precario equilibrio tra notabili e capi-bastone o su una forte personalizzazione del soggetto speculare al berlusconismo ed al grillismo. Quando l'equilibrio tra i feudatari provoca un impasse e fa perdere voti si ricorre a Pieraccioni. E' questa la logica conclusione della incapacità del postcomunismo di dare una identità politica e culturale alla sinistra compatibile ed in linea con i socialismo democratico. Anzi una grossa parte de PDS ha fondato sull'antisocialismo o sull'a-socialismo la propria ragion d'essere. Questo doveva servire a due scopi: il primo scaricare su Craxi ed il PSI tutti i malanni della I Repubblica. Il secondo la pretesa contestualità del superamento di socialdemocrazia e comunismo (una grossa cazzata) era in linea con la deriva opportunistica del gruppo dirigente PDS che ha accettato il mercatismo liberista per farsi legittimare dal capitalismo finanziario globalizzato. Vedete: Tony Blair il thatcherismo se lo è trovato. La sua grave colpa è di aver cercato un compromesso con esso e di , aver tentato di modificare il meccanismo strutturale che produceva squilibri e diseguaglianze. E aver tentato solo di attenuare gli effetti di quel modello senza incidere sulle cause. Le varie III vie sono un rinnegare i principi del socialismo democratico. E per questo possono essere criticate solo da chi crede nel socialismo democratico non certo dai neocomunisti colti da attacco di bile. In Italia il mercatismo liberista è passato grazie ai postcomunisti ed ai postdemocristiani demitiani organicamente legati al finanzcapitalismo (vedi Prodi). Verso Craxi si sono fatte due tipi di critiche . Le prime giuste, le altre profondamente errate e frutto di grosse mistifcazioni. Le prime che sono soprattutto state fatte dagli stessi socialisti critici come Ruffolo e Formica, si appuntano sul bonapartismo autoritario con cui Craxi ha gestito il PSI. Che poi ha prodotto gravi degenerazioni ed ha poi gravemente esposto il partito agli attacchi di coloro che lo volevano vedere soccombere. Da Panebianco a Scalfari ad Occhetto. L’altra critica è totalmente campata in aria ed è frutto delle mistificazioni di chi basa la sua esistenza de distorcere le posizioni altrui. Parlo ovviamente dei neuro e dei funeralcomunisti. Craxi non era affatto un liberista, anzi era un antiliberista convinto. Soprattutto per questo è stato fatto fuori Non certo per le sue colpe vere. Il golpe postmoderno di Mani Pulite era intenzionato a rendere impotente la politica rispetto allo strapotere del finanzcapitalismo. Craxi si era opposto alla privatizzazione delle aziende aventi un valore strategico ed ha difeso fino alla fine il ruolo della economia mista e della programmazione. Esattamente come altri socialisti europei del tempo come Mario Soares, Michel Rocard e lo stesso Lafontaine di allora. Sono stati i postcomunisti , per essere legittimati, a rendersi totalmente subalterni. Poi ci sono stati i massimalisti affabulatori, alla Bertinotti, che si sono creati una rendita di posizione da ceto politico, su una denunzia dei tradimenti altrui intrecciato con una spiccata tendenza ad accordi sottobanco con gli stessi traditori. Non avendo alcun progetto al di fuori delle chiacchiere e del distintivo. Così si è suicidata la sinistra itaiana. Per chi ha una conoscenza non mistificata della migliore socialdemocrazia europea , sa benussimo che i punti forti di quel progetto sono la economia mista, la programmazione e la democrazia economica (e non solo il Welfare). IL tanto citato manifesto di BAd Godesberg parla esplicitamente di un ruolo della impresa pubblica nei settori strategici , come primario strumento di regolazione del mercato, una impresa pubblica non gestita in modo burocratico ed autoritario (come nel sistema sovietico) ma tramite la partecipazione democratica e la coperazione sociale responsabile di lavoratori e cittadini. Cosi come nei settori dei beni pubblici (acqua energia). Chi oggi parla di “beni comuni” ha scoperto l’acqua calda. E’ tutta roba che sta nella tradizione del socialismo democratico. Semmai occorre costantemente ricordare al socialismo europeo di restare fedele ai suoi presupposti. Questo è il vero compito di una sinistra seria. Non quella di pretendere di immettere iniezioni di un neocomunismo che è figlio di un insanabile fallimento storico. Il guaio vero è che in Italia la demonizzazione del socialismo italiano (che ha prodotto i Lombardi, i Giolitti ed i Ruffolo) ha privato la sinistra di un polo dialettico in grado di contribuire al suo orientamento. Il problema vero della sinistra italiana è la sua totale incapacità di recuperare il socialismo democratico. La sua totale incapacità d una seria elaborazione culturale (Fabrizio Barca ha ben messo in evidenza come l’ultima vera elaborazione della sinistra fu quella del “nuovo corso socialista” dal 1976 al 1982. Ma se in Italia si chiacchiera a vanvera di progressismi senza sesso di sinistre digattivate, come si fa a recuperare un minimo di serierà . Quando vedo i Cuperlo ed i Fassina che si guardano bene dal solo pronunciare la parola socialismo, come posso credere che costoro possano costruire una credibile alternativa a Peraccioni ? Non ci prendiamo in giro. Per questo io credo che, pur tra difficoltà enormi , vada ripreso il discorso di ricostruire una soggettività politico-culturale socialista. Ci sono difficoltà enormi perché questo (ma l’ho già detto) è un paese a cui sia Berlusconi che Santoro hanno fatto il lavaggio del cervello, in cui c’è un preoccupante e grave analfabetismo di ritorno (sia culturale che politico). Ma non si può neanche accettare che le cose continuino ad andare vanti così. Una soggettività socialista non può limitarsi a essere una sorta di accademia postkeynesiana. Il postkeynesismo va benissimo se si inquadra in un progetto di società, come magistralmente fa Giorgio Ruffolo (nonostante i suoi 87 anni). Un progetto di società che è quello del socialismo democratico del XXI secolo come i compagni del Gruppo di Volpedo hanno indicato. Ho aderito al progetto della Rete Socialista perché si muove in continuità con il Gruppo di Volpedo. Nel suo cercare di costruire una soggettività politico-culturale socialista in grado di interlcuire con pezzi dei malandati soggetti esistenti , Ma da posizioni di autentica autonomia. Senza essere subalterni o caudatari delle non esaltanti dinamiche interne dei post-partiti esistenti.

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