martedì 5 gennaio 2010

Craxi visto da una generazione dopo....

Craxi visto da una generazione dopo....


di Simona Bonfante

Negli Anni 80 vado al liceo, leggo romanzi, sciopero contro il nucleare, passo l’estate in Inghilterra e Craxi non mi piace per niente.

Negli Anni 90 vado all’Università, studio di brutto, continuo a leggere romanzi, in estate vado negli States ma poi arriva Tangentopoli. Arrivano le monetine. Arrivano quelli del pool. L’autorità crolla. Ma in giro non c’è affatto aria di liberazione. C’è paura. Confusione. La gente non è più la stessa. La gente che prima era con, adesso è contro.

Ma chi sarà mai sto Craxi?

E cosa sarà mai stato sto Psi che sparisce damblé manco fosse stato non un partito costituente ma una moda stagionale?

E i comunisti, ormai già ex, loro com’è che sono spariti dappertutto nel mondo, ma da noi no?

Mah, mi pare di vivere dentro Kafka.

Infatti, smetto di leggere romanzi. Leggo i giornali ché – mi dico – magari capirò. E invece no, perché li leggo tutti i giornali dell’epoca, eppure continuo a non capire. Così scappo.

Dimentico Craxi, dimentico l’Italia.

Seconda metà degli Anni 90. A Londra c’è Tony Blair.

E io vivo sulla mia pelle il new labour che, più o meno, suona così: “Datti da fare, avrai quel che meriti”. E la cosa funziona. Perché io mi do da fare, a Londra, ed in effetti ho.

Fine Anni 90. Torno in Italia. Applico la regola londinese ma – oops – qualcosa non torna.

In Italia adesso comandano gli ex amici di Craxi e gli ex nemici di Craxi che – bizzarro ma vero – stanno tutti con Tony. Comandano a corrente alternata, pare. Ma io continuo a non capire come funzioni questo mio paese.

Eh no, mi dico, qui s’ha da studiare. E così faccio. Studio. Cominciando dall’inizio della fine – ovvero da Craxi. E che ti scopro? Il socialismo, i dissidenti, la grande riforma, Kuliscioff, l’alternativa, il Pci, Sigonella, il Caf, la scala mobile, i palestinesi, De Mita, il primo-governo-socialista, Moro, la Dc, Scalfaro, Amato, Berlusconi. E le tangenti. Letture disordinate. Letture clandestine.

Ma alla fine la mia idea me la faccio.

Gennaio 2000. Craxi muore.

Lui muore, l’Italia annaspa e l’oltraggio della verità fa trend. La oltraggiano gli stessi inetti che intanto parcheggiano il paese in un’area di servizio della storia, dalla quale comodamente osservare il resto del mondo che va.

La oltraggiano quelli che Craxi, ad ogni ricorrenza, lo lodano dicendosene i continuatori.

La oltraggiano, la verità, quelli che ora (ora?) dicono che aveva ragione lui – Craxi – e torto loro – i comunisti – però così è la vita.

La oltraggiano, la verità, i free thinkers del nostro liberissimo paese che te li trovi, guardacaso, sempre dalla parte giusta. E sono proprio loro che, per esempio, dicono che Craxi era sì un capro espiatorio ma avrebbe dovuto fare come Andreotti e farsi processare.

Farsi processare? E da chi? E su quali accuse? E perché lui sì e gli altri no?

È questa la storia del nostro paese?

Ma la verità – null’altro che la verità – l’Italia se la deve dare, o no? Non per Craxi che, ormai, non c’è più. Ma per gli italiani che devono sapere chi sono e da dove vengono se vogliono farsi una qualche pur vaga idea di dove andare.

Non me frega niente di toponomasticamente beatificare Bettino Craxi.

Ma quelli della mia generazione – quelli che come me (e, lo so, non siamo affatto la maggioranza) non si sono accontentati di vivere il trapasso dalla prima alla seconda repubblica senza neppure interrogarsi sul perché – ecco noi una risposta sul perché l’Italia non sia un paese libero e giusto dieci anni dopo la morte del cinghialone, e a quasi venti dalla sua morte politica, beh, quella risposta la vorremmo.

Craxi era minoranza allora. Il riformismo è minoranza oggi.

Ma Craxi, da minoranza, vince sulla scala mobile. E la vittoria sulla scala mobile significa aver dato un bacillo di futuro ad (almeno) una generazione. La mia.

Craxi dà credito internazionale all’Italia. E l’Italia di Craxi è l’Italia cui l’Onu affida la mediazione in Medio Oriente.

Craxi è tutto fuorché un populista. Mentre è proprio il populismo irresponsabile e liberticida, quello che noi benpensanti di oggi più di tutto demonizziamo.

È chiaro o no, allora, che qualcosa non va?

Ed è chiaro o no che quel qualcosa ha a che fare col fatto che non si può scrivere la storia come fosse fiction, ritagliandola sui gusti dell’audience?

Era certo opportuno costruire una repubblica tutta nuova. Era certo opportuno, appunto, fare la grande riforma che – toh – proprio Craxi teorizzava e che ancora oggi – oh my god! – si cerca invano di inseguire facendone un paradigma modernista.

Ma quella repubblica legalitaria, giusta, libera e liberatrice ad oggi non c’è.

Ed allora è o no opportuno indagare sul perché?

Perché, invece di una democrazia liberale, abbiamo Berlusconi?

Perché Di Pietro fa la sinistra?

Perché il debito pubblico cresce, le imprese collassano, i servizi non funzionano, i partiti pasciono e il Pil si anoressizza?

Perché in galera si muore?

Perché gli stranieri sono criminali?

Perché i figli hanno meno dei padri, anche se studiano più di loro?

Perché all’estero di noi ridono?

Perché i sindacati e le corporazioni boicottano il mio futuro?

Perché la giustizia è ingiusta e la libertà è anarchia?

Già, perché?

Craxi mi interessa perché è parte di una storia patria che ha generato il paese in cui vivo oggi. Un paese che stento a comprendere. E che temo continuerò a non capire almeno finché si pretenderà che il passato non è quello che è ma è un’altra cosa. Un’altra cosa in cui Craxi – a prescindere – non c’é.


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