sabato 6 febbraio 2010

LA INUTILE DICHIARAZIONE DI NENCINI

LA INUTILE DICHIARAZIONE DI NENCINI


di Giuseppe Giudice

Nencini, in quello che è ormai il suo sito personale (ha ragione Carlo Felici), accusa Vendola di invitare i socialisti al tradimento (vale a dire ad entrare in SEL) a causa di una lettera in cui manifestava la sua solidarietà all’iniziativa tenuta il 1 Febbraio dai circoli e dalle associazioni socialiste.
Innanzi tutto Nencini dovrebbe sapere che quel convegno non era una iniziativa del PS (I) ma di associazioni come “Socialismoesinistra” e “Associazione Labour-Riccardo Lombardi” alle quali aderiscono socialisti, iscritti e non, al PS e finalizzata alla costruzione di un movimento nazionale dei socialisti per un nuovo soggetto politico della sinistra italiana. E che considerano il processo costituente di SEL, nella sua ispirazione originaria, l’unico percorso che la realtà politica odierna ci offre per realizzare tale obbiettivo. Quindi nessun tradimento, sia perché molti compagni che aderiscono non sono iscritti al partito di Nencini (ma sono socialisti interessati a far sì che nel nuovo soggetto politico vi sia una componente culturale socialista visibile), sia perché quei compagni iscritti (molti hanno la doppia tessera PSI-SEL) si sono opposti in modo netto e determinato alla unilaterale rottura, decisa dalla segreteria nenciniana, con le altre componenti di SEL.
Una rottura che è parsa a molti compagni, pretestuosa, non supportata da argomenti politici seri e probabilmente etero-diretta da chi aveva intenzione di far fallire SEL.
Io non nego che vi possono essere stati errori ed improvvisazioni anche da parte delle altre componenti di SEL (del resto ampiamente riconosciuti da Vendola nella famosa lettera), ma questo non giustificava assolutamente la rottura.
L’argomento che SEL doveva essere una federazione e non un partito non regge: a Settembre, nell’assemblea di Bagnoli l’idea di una federazione era stata esplicitamente superata.
Il problema è piuttosto un altro: un pezzo del PS (quello più legato alle vecchie logiche SDI) concepiva SEL come un taxi elettorale fino alle regionali per poi avere le mani libere. Se noi osserviamo il comportamento dello SDI negli ultimi dieci anni ci rendiamo conto che questa è stata la costanza del suo agire.
Ed è proprio contro questa logica che si sono ribellati i compagni. Un partito socialista all’1% (o meno) non ha senso e non ha vita autonoma. O si impegna seriamente, con altre forze della sinistra, a costruire un soggetto più grande, o sparisce. Meglio sparire che vivere di accattonaggio politico.
In secondo luogo (e qui veniamo ai nodi veri, di sostanza politica) un partito socialista ha senso se si colloca più a sinistra del PD. Non ha senso un PS quale ala laica del PD o addirittura più a destra del PD in una posizione intermedia con l’UDC!
Se il PD (per esplicita ammissione dei suoi dirigenti) rappresenta, sul piano politico e culturale, una fuoriuscita da destra rispetto alla socialdemocrazia ed al socialismo europeo, è evidente che una forza che voglia mantenere vivi i valori e la missione storica del socialismo non può che stare più a sinistra del PD.
Le associazioni che hanno dato vita a questo movimento della Sinistra Socialista hanno fondato la propria prospettiva politica sul dato che il recupero della tradizione più autentica del socialismo italiano non può che fondarsi su una critica da sinistra al progetto del PD e porsi in netta discontinuità con le derive liberali e moderate (“social-liberiste”) di un pezzo della socialdemocrazia europea (Blair, Schroeder), derive che sono state spazzate via dalla profonda e strutturale crisi del capitalismo liberista e del suo “pensiero unico” verso cui il “social-liberismo” (in cui è inquadrabile anche la posizione del PD) è stato subalterno.
Oggi nel PSE vi è un chiaro spostamento a sinistra; la SPD ha profondamente mutato rotta politica (avvicinandosi alla Linke), le posizioni del PS francese sono vicine a quelle di Lafontaine; lo stesso Labour inglese ha fatto una inversione profonda nella politica economica rispetto all’epoca Blair. Il congresso di Praga del PSE (in cui Nencini era assente) ha nettamente rimarcato questo profondo mutamento rispetto a posizioni che tradivano i valori ed il progetto del socialismo democratico.
Il movimento della Sinistra Socialista si muove in questa prospettiva: una rifondazione a sinistra del socialismo democratico. Un progetto per un socialismo del XXI Secolo quale alternativa organica al modello economico, sociale e culturale del capitalismo liberista. E quindi in una rivalutazione del carattere strutturale della politica riformatrice volta a rompere gli equilibri di potere esistenti ed a costruirne di più avanzati nell’orizzonte storico di un graduale superamento del capitalismo. Insomma il “riformismo-rivoluzionario
di Riccardo Lombardi che torna protagonista.
Nencini non ha capito (o ha fatto finta di non capire) che il mondo è cambiato. Lui continua a riproporre il modello fallito del “social-liberismo” , del blairismo fuori tempo massimo, della retorica di quel perverso intreccio di liberismo ed assistenzialismo che è la Flexy-security all’Italiana (consiglio di leggere a proposito le relazioni al convegno del 1 Febbraio), a dare spago alla demagogia liberale dei Giavazzi sul conflitto tra generazioni (la guerra tra poveri).
E’ evidente che le posizioni di Nencini non sono né socialiste, né di sinistra: potrebbero trovare tranquilla accoglienza nell’ala destra del PD.
Ma lui non può impedire agli altri di essere socialisti e di sinistra.
E’ per dare voce a questa istanza che abbiamo voluto creare questo movimento che intende contribuire al processo di ricostruzione della sinistra. Che è evidentemente un obbiettivo diverso da quello di Nencini. Per questo le sue dichiarazioni sono perfettamente inutili.

PEPPE GIUDICE


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