mercoledì 17 febbraio 2010

Le Regionali, la Sinistra, il Socialismo

Le Regionali, la Sinistra, il Socialismo
di Giuseppe Giudice 

Sono tra coloro che ritengono che le regionali cambieranno ben poco il quadro politico attuale. Mi pare difficile poter intravedere una rimonta del centrosinistra rispetto alle politiche (e comunque il CS è destinato a perdere alcune delle regioni conquistate 5 anni fa).
Sono anche tra coloro che ritengono che queste elezioni avvengono in uno dei punti più bassi in cui è giunta la politica italiana.
Con un centrodestra che cerca di liberarsi di Berlusconi, non riuscendo a trovare o a mettersi d’accordo su una leadership alternativa; con un centrosinistra che si re-impernia sull’asse PD-IDV (un asse, come abbiamo visto, incapace di mettere in discussione il blocco politico e sociale della destra).
Ne abbiamo già parlato: sull’antiberlusconismo superficiale non si costruisce una alternativa organica alla destra, perché non si mette in discussione il suo blocco sociale (che, a differenza di altri paesi è formato da ampi strati popolari), paradossalmente si rafforza la leadership del plutocrate, perpetuando le caratteristiche di un bipolarismo chiuso che esclude rinnovamento e rigenerazione della classe politica.
Nichi Vendola, certo la sorpresa più piacevole uscita da una sinistra anchilosata, un comunista deliziosamente eterodosso lontanissimo dagli schemi togliattiani e berlingueriani, ha detto una cosa estremamente significativa: la sinistra ha demonizzato Berlusconi, ma al tempo stesso ne ha interiorizzato i comportamenti. Per cui alla fine lo scontro tra berlusconismo ed antiberlusconismo è una sorta di gioco di ruolo che poco ha a che vedere con i contenuti reali della proposta politica. In più il centrosinistra ha fatto propri gli elementi portanti del berlusconismo: personalizzazione esasperata della politica, pragmatismo separato da principi e visioni ideali forti e strutturate, confusione tra propaganda politica e marketing pubblicitario.
Questo antiberlusconismo superficiale (perché non fa i conti con le sue cause) si esprime in una forma moderata (PD) ed in una radicale-urlata o se vogliamo abbaiata (Di Pietro). I termini moderatismo non sono qui usati nel significato tradizionale del linguaggio della sinistra, perché non hanno alcuna attinenza alla maggiore o minore radicalità di un progetto di società alternativo a quello della destra ma solo ad una minore o maggiore intransigenza nella contrapposizione a Berlusconi sul tema della questione morale.
Ma qui è il punto: dove sta la radice dello spaventoso degrado dell’etica politica, di cui Berlusconi è certo un emblema, ma che coinvolge trasversalmente i due schieramenti? Vendola, a Bagnoli, disse giustamente che la radici della nuova questione morale (dieci volte superiore a quella della I Repubblica) è nella “privatizzazione della politica”. Vale a dire nella scomparsa di fatto dei partiti e dei corpi intermedi che garantivano la partecipazione democratica.
Ora , al di là delle diverse opinioni sulla nascita della II Repubblica (se essa fu il frutto esclusivo delle decisioni prese sul veliero Britannia o piuttosto di un processo più complesso) essa ha avuto nel liberismo mercatistico la sua costituzione materiale.
Tale elemento strutturale aveva bisogno non tanto dello stato minimo ma della “politica minima”.
L’eliminazione dei corpi intermedi e l’instaurazione di un rapporto personalistico tra leader ed elettorato (ridotto ad una sorta di “audience”) è la caratteristica di questo peronismo postmoderno di cui Berlusconi e Di Pietro sono le due facce.
La gestione dello stato è affidata alla tecnocrazia ed alla magistratura. Quella della economia ai grossi centri di potere economico e finanziario che hanno usufruito delle privatizzazioni a “costo zero” e dato vita ad un capitalismo finanziario di rapina.
La politica si feudalizza: si occupa sempre più di beghe locali e campanilistiche e sempre meno di progetti politici di rilevanza sistemica (la gestione dello stato e della tecnocrazia e della magistratura). Il PD è tipico risultato della feudalizzazione. Un conglomerato di notabili, feudatari grossi e piccoli con un segretario nazionale che conta poco e nulla.
Il gruppo dirigente (o meglio i burocrati) post-comunista ha grandi responsabilità in tale processo che ha condannato la sinistra.
Non essendosi riuscita a liberare dagli schemi togliattiani (che sono stati la vera camicia di forza della sinistra) ha cercato di applicarli stupidamente anche in un contesto radicalmente diverso da quello in cui il togliattismo è nato (e forse aveva un senso).
Il centrosinistra, insomma l’Ulivo è l’espressione della incapacità della sinistra di assumere la guida dei processi politici ed affidare ai postdemocristiani ad un pezzo del capitalismo e della finanza la propria legittimazione.
Vendola è l’anti-D’Alema (come Lombardi era l’anti-Togliatti): perché sconvolge tale schema.
Avanza l’idea di una sinistra protagonista della ricostruzione del tessuto democratico del paese. Una sinistra che si può anche alleare con il centro ma non si fa guidare dal centro.
Ma proprio per questo è una sinistra che ha bisogno di ricostruire una propria identità, una propria cultura (Vendola dice “un proprio vocabolario”)
Abbiamo visto che la II Repubblica si è fondata nel momento della massima egemonia ideologica del neoliberismo. Oggi ci troviamo nel pieno della crisi del capitalismo: una crisi grave e sistemica di cui non si intravede l’uscita. Solo in Italia non ce se ne rende conto. Perché la televisione e la stampa (anche quella presuntamente progressista) parla d’altro (massaggi di Bertolaso et similia). Ma la gravità della situazione sociale è sulle spalle di milioni di famiglie.
Questa nuova sinistra ha bisogno del socialismo e dei socialisti. La crisi del capitalismo la si può affrontare solo con un forte progetto alternativo di società. Una politica riformatrice ha senso solo se acquisisce dei forti connotati strutturali.
Ma non abbiamo bisogno di “socialisti” qualsiasi. Non abbiamo bisogno di quelli che celebrano il lutto per gli anni 80 (che comunque sono stati una parentesi negativa per il socialismo italiano- pur senza demonizzazioni). Non abbiamo bisogno di piccoli notabili e cacicchi di contrada.
Abbiamo bisogno di socialisti che hanno compreso l’importanza e la centralità di quella tradizione del socialismo riformatore di Lombardi e Santi (che tentò appunto di essere l’alternativa al togliattismo).
Vendola è un grande leader intorno al quale si può ricostruire un soggetto.
Ma un soggetto ha bisogno di un progetto.
In una fase in cui è necessario rifondare a sinistra il socialismo democratico su un progetto di superamento graduale e democratico (che certo presenta fasi intermedie) del capitalismo, il pensiero di Lombardi rappresenta quel sentiero interrotto della sinistra che dobbiamo far riemergere.
Noi della Lega Della Sinistra Socialista ci proponiamo con modestia di dare il nostro contributo in tale direzione molto oltre la scadenza delle regionali e scontando la possibile crisi dei soggetti attuali.
 

PEPPE GIUDICE

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