mercoledì 10 febbraio 2010

L'elettorato socialista non esiste !

L'elettorato socialista non esiste !


di Pier Luigi Camagni

L'altro giorno, mi sono trovato nella posta, proveniente dalla mailing-list molto frequente e diffusa di un amico, un considerazione su dove sia finito il voto socialista.

Nella sua dotta analisi Walter Marossi, confrontando il voto in termini assoluti della lista PSI nel 1990, e in quelle successive delle liste più o meno di ispirazione socialista, e del totale dell'elettorato in Lombardia nelle stesse tornate elettorali, giunge alla conclusione che 2/3 dell'elettorato socialista sarebbe, udite udite, finito nel centro-destra.
A parte la non novità di tale affermazione - l'hanno detto in molti, in particolare nel centro-destra, per porsi come eredi della tradizione socialista e, se possibile, ancora di più far man bassa nel suo possibile elettorato - come quella che nel governo Berlusconi vi sarebbero più ministri socialisti che nello stesso governo Craxi - anche questa tutta da dimostrare, visto che non mi sembra che basti dire che qualche ministro o qualche esponente del PdL, per il semplice fatto di aver avuto in tasca una tessera PSI, sia ipso facto ANCORA SOCIALISTA - mi sembra che sia errata. Ed è errata perchè si basa sulla assunzione di fondo che esiste o sia esistito un elettorato socialista. Non esiste l'elettorato socialista, così come non esiste l'elettorato cattolico e, almeno in parte, quello comunista o anche quello fascista o post-fascista; e la dimostrazione che non esiste sta proprio nei dati elettorali e nei cambiamenti avvenuti nella società ben prima dei fatti che portarono alla fine della cosiddetta prima repubblica. Da tempo non esiste - o è, comunque, molto ridotto - un elettorato ideologico, che vota qualsiasi cosa basta che si esponga un simbolo (sia esso una rosa, un garofano o una falce e martello) o ci si fregi di una denominazione; esiste, quello sì, un elettorato identitario, ma sull'identità, tutta la sinistra, italiana ed europea, è ben lontana dal lavoro svolto dalle destre. Questo perchè, diversamente dalle ideologie, l'identità implica una chiarezza di idee che a sinistra si fatica a trovare.
All'indomani del voto sardo e abruzzese del 2009, Marc Lazar (politologo docente a Sciences Po di Parigi e alla Luiss di Roma), su L'Espresso, individuava in 5 punti la crisi della sinistra italiana:
  1. Leadership: «La gente ha faticato a comprendere il perché della guerra Veltroni-D'Alema. È il ritorno del vecchio che oscura il nuovo che si sta costruendo.» Troppi presunti leader in contrasto tra di loro e assenza del nuovo; così, a tuttoggi, se di leader e novità si deve parlare, vedo solo Nichi Vendola.
  2. Strategia: «Il PD non è uscito dal dilemma se fare un'opposizione dura come vuole Di Pietro o responsabile. E così perde di volta in volta l'elettorato radicale o quello moderato.» E, in questo senso, la risposta in tutta Europa, tranne che in Italia, è stata la riscopertà da parte dei partiti socialisti e socialdemocratici della propria identità di SINISTRA (l'ha fatto l'SPD, l'ha fatto il Partito Socialista Francese ed anche il Labour di Gordon Brown.
  3. Alleanze: «Non ha sciolto il dubbio se guardare alla sua sinistra o al centro.» E l'errore continua nel PD, anche con la segreteria Bersani, si vedano le vicende che hanno portato alle primarie in Puglia e all'alleanza con l'UDC.
  4. Sociologia dell'elettorato: «Votano il PD le persone che sceglievano il PCI un tempo, del centro Italia, legate a categorie precise del settore pubblico, istruite, che abitano nelle grandi città, hanno più di 50 anni e non vanno a messa.» E' una affermazione che vale anche per i socialisti, occorre recuperare il contatto con i ceti popolari che, come magari al Nord, si sentono non presidiati e si abbandonano a tentazioni leghiste. In tal senso, intedevo, quando dicevo che non esiste un elettorato socialista, ma esistono, invece, questo sì, tanti potenziali elettori interessati a proproste politiche socialiste (che non sono, come dicevo prima, l'alzare un simbolo o una denominazione). Con un'avvertenza però, e cioè che i tempi sono cambiati e quel ceto medio che una volta votava socialista perchè, già allora, conquistato dalle politiche socialiste (non dalla ideologia socialista), si va sempre più assottigliando, con un indice di disparità economica che, in Italia, è tra i più alti d'Europa e dell'area OCSE, e dove la crisi finanziaria prima e le politiche ultra-liberiste del governo di centro destra (che liberali non sono, nonostante Belusconi rivendichi anche questa tradizione insieme a quella socialista, favorendo banche e multinazionali) ha messo ancora più in ginocchio.
  5. Identità: «Cosa è il PD? Farà parte o no del Partito Socialista Europeo? Che tipo di narrazione fa se davanti ha una destra che gioca molto sulle emozioni e sui sentimenti? Narrare non significa far sognare, ma scegliere la mobilitazione che si vuole suscitare.» Questo quinto punto rappresenta un po' la somma di tutti i precedenti e ci sta a dire che, mentre il centro-destra ha fortemente rafforzato la propria identità (leadership di Berlusconi, comune appartenenza al Partito Popolare Europeo, politiche che impegnano la pancia di quell'elettorato, ecc.), la sinistra, e i socialisti in essa, ha ancora molto da fare.
Non occorre inseguire, quindi, un elettorato socialista che non esiste, ma fare CHIARAMENTE proposte politiche SOCIALISTE E DI SINISTRA che possano trovare consenso nell'elettorato, anche in quello che in questo momento non vota o vota al centro o, adirittura, a destra.
Del resto, lo stesso dato elettorale europeo di SEL lo aveva confermato, laddove, pur con un programma decisamente minimo, aveva trovato in quel milione di voti conseguiti ben il 60% rappresentato da elettori che non era dei partiti e movimenti che a SEL avevano dato vita,
ma che si erano ritrovati in una nuova proposta di sinistra, laica, socialista ed ecologista.



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