giovedì 29 ottobre 2009

CARO PRC, SeL ESISTE, FATTENE UNA RAGIONE

CARO PRC, SeL ESISTE, FATTENE UNA RAGIONE


Oggi c’è bisogno di ricostruire una massa critica che parli al paese e alla sua mortificazione quotidiana. Che pensi a coltivare la costruzione di una sinistra, per evitare che dalle due sinistre si passi a nessuna.


di Gennaro Migliore - Gli Altri, 29 ottobre 2009

E ora non chiamatelo “popolo delle primarie”. I tre milioni che domenica si sono messi in fila per scegliere il segretario del Pd erano più semplicemente un popolo alla ricerca di una rappresentanza. Una rappresentanza che nel corso degli ultimi anni è stata oggetto di grandi speranze e di grandi delusioni postume. Le persone che ieri hanno preso parola non sono solo quelle che pensano al Pd e non sono la “truppa” di complemento all’azione dei gruppi dirigenti di quel partito, anzi, spesso non sono neppure tutti suoi elettori. Sono piuttosto un corpo politico che riconosce se stesso come esistente e che, di volta in volta, sceglie un modo per manifestare la propria vitalità. Sono lo sciame democratico di questo paese, che decide di scegliere in autonomia quale sia il proprio strumento, quello più efficace.

Qualche tempo fa lessi una breve considerazione di Beppe Severgnini sul “popolo dei 5 milioni”. Severgnini osservava che la strana coincidenza numerica tra i lettori dei quotidiani di informazione, cinque milioni, il numero di spettatori delle trasmissioni di approfondimento, sempre cinque milioni, il numero di utenti che frequentano la blogosfera, anch’essi intorno ai cinque milioni, e di come la maggioranza fosse composta da elettori di centrosinistra! La deduzione dell’autore, mettendoci insieme anche i milioni delle primarie era che, grossomodo, più o meno fossero quasi sempre gli stessi. Un nucleo forte di opinione informata e di disponibilità alla partecipazione, che però non riusciva a farsi senso comune in un paese attraversato da una atomizzazione molto più drammatica, segnata da un crescente egoismo, che vede nella matrice razzista e individualista della destra il vero pensiero egemone nella società italiana.

Questo “popolo”, però, è la più grande risorsa di cui oggi può disporre un progetto di “alternativa” (quanto sia stata felice la prima dichiarazione del neoeletto segretario Bersani, lo si deve proprio a questa parola dimenticata per anni, colpevolmente, dalla sinistra maggioritaria) alle destre populiste e a-democratiche. Il merito delle primarie è quindi, innanzitutto, aver dato parola a questo popolo, resistendo alle incertezze che avevano segnato la vigilia. Penso che gli elettori delle primarie si sentano, oggi ancor di più, titolati ad esprimere il loro parere su tutto e che non basti una tessera a distinguere realmente il “dentro” dal “fuori” di un partito contemporaneo. La critica va dunque a chi, a torto, ha considerato le primarie uno strumento tendenzialmente antidemocratico e plebiscitario (salvo poi andare a votare per far numero). Sono certo di far parte di una minoranza, tra gli attivisti della sinistra, a non aver partecipato a quel voto. L’ho fatto perché non ritenevo giusto dover scegliere il segretario di un altro partito, ma non mi ha affatto meravigliato che molti dei miei compagni e delle mie compagne facessero prevalere altri sentimenti nella propria valutazione. Per quanto mi riguarda, ritengo che le primarie, meglio regolate e magari anche oggetto di un processo di legificazione che le metta al riparo da usi distorti (tipo le primarie per un sindaco, ma solo con candidati del Pd), possano diventare uno strumento da agire sistematicamente e con poche, rarissime e ben motivate, eccezioni. Sia per la selezione delle rappresentanza pubbliche (dal candidato presidente del consiglio in giù) sia per le organizzazioni politiche, se queste hanno l’ambizione di aprirsi e non di diventare un letto di Procuste da adattare alle scelte dei ceti politici.

La natura della rappresentanza politica è oggi molto controversa ed il Pd ne è l’esempio più importante. Da un lato c’è la crisi di legittimazione di un intero sistema politico, travolto da scandali e malgoverno, che però detiene una quota significativa di potere, dall’altro un diffuso bisogno di rappresentanza di un popolo che dalla gestione si tiene distante e che, addirittura, dalla gestione amministrativa si sente minacciato. È sempre più urgente ritornare a ragionare sul fondamento dell’organizzazione dello spazio pubblico e sul perché è importante adattare le forme della politica alla società e non immaginare di poter tornare indietro su improbabili sentieri che ci riportino all’età dell’oro dei partiti di massa. Bisogna ammettere che il Pd, anche in grazie alla sua massa critica, è più avanti della sinistra su questo punto. La stessa proposta di Bersani, ovvero un ritorno al classico del partito organizzato e della gestione collegiale, è in primo luogo una risposta, per altro molto netta, all’espropriazione del partito leggero, che elabora la linea con Repubblica e considera gli attivisti come pura massa di manovra.

La democrazia radicale, come insegna la battaglia per il voto sui contratti ingaggiata dalla Fiom e che sarà il terreno principale su cui si giocherà non solo il congresso della Cgil ma anche il più vasto campo della contesa sindacale, è oggi un punto di vista irrinunciabile. Allora, per evitare che quel popolo che ieri ha scelto la via delle primarie rimanga per l’ennesima volta deluso, è chiaro che il punto rimane ancora quello di saper essere coerenti con le aspettative che si sono suscitate, per dar seguito a quel generoso contributo di delega democratica. La vittoria di Bersani è stata anche e soprattutto la vittoria di una spietata critica al veltronismo, sia per le pretese di autosufficienza che, soprattutto, per la piattaforma sociale ed economica più avanzata e “socialdemocratica” che egli ha esposto. Se Bersani riuscirà a dar seguito a queste ambizioni dichiarate, allora sarà davvero un “innovatore”, come lo ha definito Prodi (che invece non seppe dare seguito alle promesse del programma dell’Unione), se invece verrà ricordato soprattutto per la tessitura delle alleanze con l’Udc e per le veroniche dell’impaziente Rutelli, credo che non potrà fregiarsi di quel titolo. L’occasione per provarlo c’è ed è immediata. Si avvii ovunque un processo aperto di primarie per selezionare i candidati alle presidenze delle regioni che vanno al voto. A partire dal Lazio, la cui urgenza è sotto gli occhi di tutti, ma anche in Campania e in Calabria, dove per ora paiono prevalere i tatticismi e le candidature decise in “sedi separate”. Disponibilità a misurarsi con il consenso che, per ora, solo Nichi Vendola ha offerto con chiarezza.

Su un altro versante, quello della ricostruzione della sinistra, è altrettanto importante misurarsi con i temi della democrazia, quanto con quelli della proposta politica per l’alternativa. Da Rifondazione comunista sono arrivate più voci che hanno segnalato il punto, pur essendo tra di loro tutt’affatto diverse. È arrivata la voce del segretario che, a margine di una conferenza stampa con Di Pietro, ha re illustrato la tesi secondo cui Sel sia una corrente esterna del Pd, che si dipinge quasi come un nemico. Una considerazione buona per maturare qualche consenso in un congresso (per altro proprio Ferrero dovrebbe sapere che si è chiuso più di un anno fa…), non certo per parlare seriamente della sinistra di cui il paese ha urgente bisogno. Per altro, se gli uomini e donne di Sel decidessero di partecipare al dibattito del Pd direttamente, ci sarebbe una strada più consona e più efficace, entrare in quel partito. Ma siccome abbiamo dichiarato che non ne abbiamo l’intenzione e che stiamo proprio per questo rafforzando e accelerando la costruzione di Sel, è bene che il segretario di Rifondazione se ne faccia una ragione.

Due interventi, uno di Grassi e Steri sul Manifesto e quello di Rocchi su gli Altri, avanzano un terreno di discussione che entra più nel merito e, per entrambi, che propone come premessa il rispetto delle scelte passate. I due articoli, però, sono a mio avviso molto diversi sul nodo cruciale dell’impresa politica che intende costruire Sel. Se Rocchi non va oltre un generico appello alla sinistra unita e plurale, riproponendo la bontà della formula della federazione, a partire dalla discriminante anticapitalista, Grassi e Steri elaborano più articolatamente un progetto di unità d’azione, nelle lotte e nelle urne. Per essere ancora più espliciti, non si può neppure iniziare a discutere se non è chiaro che Sel non ha la discriminante anticapitalista (sebbene contenga al suo interno parti che rivendicano quella cultura politica, tra le quali certo la mia). Sel ha l’ambizione di proporre un terreno di incontro per culture politiche della sinistra “realmente” diverse e diverse anche su questo punto. Oggi, c’è bisogno di ricostruire una massa critica che parli al paese e alla sua mortificazione quotidiana. Che pensi a coltivare la costruzione di una sinistra, per evitare che dalle due sinistre si passi a nessuna. Che pensi ad una proposta per il governo e non di governo, a partire da un rinnovato rapporto con il Pd di Bersani. Perciò va riconosciuto a Grassi e Steri di porre il terreno della discussione su un terreno praticabile, a partire dalla costruzione dell’opposizione e delle proposte per le prossime tornate elettorali. Eppure, anche questo terreno è fortemente segnato dal tema della legittimazione e della partecipazione democratica. La democrazia non è una variante “organizzativistica” del nostro far politica, non è il secondo tempo del film in cui il primo è quello dell’illustrazione pedagogica dei “grandi temi” del dibattito pubblico. Questo sentirsi impegnati a scegliere, questo “ci sono anche io”, è il luogo in cui si combatte il populismo. È in questo “anche io” che si può pensare a ricostruire un “noi”. Un “noi” di sinistra.


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