martedì 20 ottobre 2009

INTERVISTA DI NENCINI AL QUOTIDIANO TERRA

PARLIAMO SOLO DI POLITICA
SENZA TESSERE NE CONGRESSI


Il segretario dei socialisti sull'assise di dicembre: «Le regole sono importanti. Ma le idee lo sono di più. Noi dobbiamo far conoscere il nostro progetto per il Paese».

-Onorevole Nencini, alla fine dentro Sel è passata la linea congressuale.
Assolutamente no. Semplicemente ci atteniamo a quello che abbiamo deciso a Bagnoli. L'Assemblea di dicembre deve mettere in campo un progetto politico, deve dire alle italiane e agli italiani quale idea ha Sel per il Paese.

-Ma se è fatto da delegati eletti dagli iscritti, se elegge organismi di governo e portavoce, di fatto, è un congresso.
Ma al comitato non si è mai parlato né di portavoce né di organismi da eleggere. Queste sono davvero delle sciocche forzature.


-Veramente Robotti oggi propone addirittura un tesoriere.
Mi giunge nuova. Le parole sono molto importanti. Intanto è ancora da decidere come si eleggeranno questi delegati. Chi li elegge? Quanti saranno? Saranno scelti a livello regionale, provinciale, indicati dalle forze fondatrici? E poi delegati di chi, se non ci sono iscritti? Il tesseramento non l'abbiamo mica aperto.

-Ma, scusi, le adesioni non sono iscrizioni?
Ma no. Nel comitato ci sono amici che vengono dalla tradizione comunista, una tradizione che non conosce ambiguità su termini come congresso, tesseramento. C'era chi voleva il congresso, ma il documento finale dice altro. Il resto se lo porta via il vento. Lo stesso si dica del tesseramento. E poi, davvero, penso ci siano questioni più importanti della burocrazia organizzativa. Lunedì, dopo le primarie, sapremo il progetto del Pd. Conosciamo quello dell'Idv, quello di Rifondazione e Diliberto. Sappiamo anche la prospettiva dell'Udc di Casini. Quello che gli italiani non conoscono è il nostro progetto per il Paese. L'assemblea del 18 dicembre deve servire a questo.

-Quindi non nasce un nuovo partito?
No. E poi la formazione di un soggetto politico non può eludere certi temi. Come quello della collocazione internazionale che, dopo l'uscita dei Verdi, si pone. Ovviamente per noi la famiglia di riferimento è quella del Partito socialista europeo. Fava si è detto d'accordo. Vendola, invece, non si è espresso. Se si trattasse di un nuovo soggetto noi socialisti dovremmo affrontare il tema del nostro scioglimento. E a oggi nessuno ce l'ha chiesto.

-Si porrà comunque a giugno.
Dopo le elezioni faremo un congresso e decideremo. Poi si aprirà il congresso di Sel.

-Ma insomma come andrà Sel alle elezioni?
ovremo sederci e ragionare per ogni regione, darci dei criteri. Per esempio: Sel sostiene le primarie di coalizione? Parteciperà ovunque con i propri candidati?

-E in Toscana?
C'è in campo una proposta riformista, spero che Sel vi aderi- sca. D'altronde Sel non un è simbolo antagonista e anticapitalista. Se così fosse non l'avremmo costruita. Perché, sia chiaro, Sinistra e libertà è figlia nostra. L'idea della libertà, delle riforme è nel dna di Sel grazie ai socialisti.

I SOCIALISTI PER UNA SINISTRA NUOVA,
DEMOCRATICA E RIFORMISTA

di Roberto Biscardini

19/10/2009 - Tutti coloro che del 1994 ad oggi hanno creduto giusto e coerente dare continuità al Partito Socialista e ad un’organizzazione autonoma dei socialisti italiani, nonostante le mille difficoltà incontrate a livello nazionale e locale, non rinunceranno a continuare su questa strada proprio oggi, in un momento in cui le condizioni peggiori potrebbero essere alle nostre spalle. Anche per queste ragioni, il PSI non ha al suo orizzonte né la prospettiva di scioglimento, né men che meno quella di una confluenza in altre formazioni politiche.

A livello nazionale la prospettiva politica per i socialisti non è esaurita, cosi come è viva a livello europeo e internazionale. L’obiettivo che i socialisti si sono sempre assegnati di costruire in Italia una sinistra nuova, democratica e riformista, era giusta quando la sinistra era a maggioranza comunista, lo è ora di fronte ad una sinistra debole, non socialista, poco riformista e sostanzialmente giustizialista. Ma uno spazio si sta aprendo. Siamo probabilmente alla fine di un ciclo politico, il ciclo della seconda Repubblica. I segnali sono molti, e in primo luogo è evidente la crisi del quadro politico-costituzionale di riferimento. Siamo di fatto entrati in una nuova fase costituente. In un recente seminario di Mondoperaio, la rivista del Partito, è emersa una valutazione politica che abbiamo fatta nostra. Il referendum del 21 giugno ha segnato anche simbolicamente la fine della seconda Repubblica, chiudendo un ciclo cominciato con un altro referendum, quello del 1991. Le promesse del movimento referendario sono state in gran parte disattese. Non è diventato più diretto il rapporto fra eletti ed elettori. Non si è realizzato un autentico bipolarismo. La governabilità non è migliorata nonostante i premi di maggioranza e gli altri accorgimenti di ingegneria elettorale. Il sistema dei partiti si è semplificato male e non sempre in forme convincenti. Non si è realizzato un equilibrio più stabile fra i poteri dello Stato. Ed il ceto politico viene ormai identificato soltanto come una casta costosa e adesso persino impresentabile. Siamo entrati in una nuova fase anti partitocratrica. E i partiti che dovevano sostituire quelli vecchi, per ragioni diverse, hanno fallito. La cosiddetta democrazia dell’alternanza non è sostanzialmente esistita: in questi ultimi quindici anni ha di fatto governato sempre e solo Berlusconi. La vittoria del centrosinistra nel 1996 fu dovuta alla mancata alleanza della Lega col centrodestra, e la risicata vittoria dello stesso schieramento nel 2006 ha dimostrato immediatamente la sua debolezza numerica e politica. Con la fine del ciclo della seconda Repubblica si va esaurendo così non solo il ciclo della destra, ma anche il ciclo della sinistra. Siamo tutti pressoché uguali ai nastri di partenza e il processo di fondazione di una forza di sinistra democratica si ripropone in modo del tutto nuovo e si intreccia con la necessità di dare vita ad un nuovo sistema politico. La prospettiva politica per i socialisti non si è esaurita neppure a livello locale. Se la carenza di una politica riformista e socialista è evidente nelle politiche nazionali, ancora più evidente lo è a livello locale, dove l’esigenza di governare con competenza, con senso di responsabilità, senza arroganza e logiche di potere chiuse e persino padronali (esaltata dalla elezione diretta di sindaci e presidenti di provincia e di regione) è sotto gli occhi di tutti nelle grandi come nelle piccole città. Certo il partito socialista si è indebolito per il profondo cambiamento del quadro politico nazionale, ma anche quando ha smesso di essere fortemente rappresentato sul territorio. Quando si sono pian piano chiuse molte delle sue sezioni e soprattutto non si è più stati in grado di eleggere rappresentanti nelle istituzioni locali: in molte regioni, in molte province, nei comuni grandi e piccoli e nelle circoscrizioni di quartiere.
Nel passato il socialismo si è espresso nel modo migliore attraverso l’azione di moltissimi bravi amministratori, che hanno costruito le metropolitane, i centri per anziani, gli asili e le case popolari che tuttora permettono a molte persone con redditi bassi di condurre una vita dignitosa. Oggi, una forza che si dice socialista non può prescindere dall’obiettivo di avere nelle istituzioni bravi amministratori riformisti e militanti sul territorio. Puntare ad aumentare la nostra presenza nelle istituzioni locali non è utile per chissà quali ragioni di potere, ma è invece assolutamente necessario per consentire al partito di tenere vivo sul territorio il legame con i cittadini. Se questa è l’analisi e questa è la realtà. Occorre riprendere una forte e incisiva politica nazionale partendo la questo dato: la crisi socialista è interna alla crisi della sinistra; la crisi della sinistra è interna alla crisi del sistema politico- repubblicano; la crisi del sistema politico-repubblicano è interna alla crisi ideologica della Carta Costituzionale. Occorre riprendere una forte iniziativa a livello locale. Dobbiamo lavorare con intelligenza perché aumentino il numero degli iscritti, perché il partito possa rafforzarsi nei territori, per intercettare quella grande area di bisogno sociale che dobbiamo ritornare a rappresentare anche nelle istituzioni. Riscoprire dal basso l’Italia dei ceti produttivi sempre più in difficoltà. Riscoprire l’Italia del lavoro sempre meno garantito. Dei meriti e delle povertà, delle sofferenze e delle solitudini. Riscoprire l’Italia multietnica come nuova realtà da governare. Battersi per garantire diritti di libertà negati. Attraverso un rinnovato impegno politico per riprendere un contatto proficuo e diffuso con il mondo delle associazioni, del volontariato, della cooperazione rientrando in contatto con i cittadini ovunque sia possibile e con i problemi articolati e differenziati degli individui. Un nuovo lavoro nel sociale, quelli che siamo, quanti siamo. L’obiettivo è il nostro rilancio, il nostro risveglio, la nostra autorevole ripresa di spazio politico, al di là delle alleanze e delle intese che a livello locale si potranno o si dovranno fare, per potere ritornare ad essere interlocutori della politica, per contribuire di nuovo a rinnovare il paese.

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