giovedì 30 agosto 2012

Bobo Craxi: "L'America voleva cambiare regime in Italia"

di Maurizio Gallo - Intervista a Bobo Craxi: "Gli Stati Uniti volevano cambiare regime in Italia".

L’attacco vero era all’autonomia dell’Europa e ai suoi alfieri. Nel Belpaese tra loro c’erano Bettino Craxi e Giulio Andreotti. E, «se le rivelazioni dell’ex ambasciatore americano Reginald Bartholomew fossero state pubblicate prima, si sarebbe reso un gran servizio alla democrazia e sarebbe stato possibile per l’Italia diventare un Paese normale». Bobo Craxi, che fu sottosegretario nel governo D’Alema, commenta così lo scoop del corrispondente Usa de «La Stampa» Maurizio Molinari sull’inchiesta Mani Pulite.

Che succede, onorevole?

«Succede che, dopo vent’anni, emergono i fatti nella loro interezza. E si tratta di rivelazioni impressionanti e, direi, scandalose. Ci fu un’evidente influenza straniera sull’azione dei giudici contro i partiti di governo dell’epoca. Noi lo dicevamo e oggi lo conferma un importante diplomatico, che si accorse dello strano intreccio fra il console Usa a Milano e i pm».

Era una cosa che già qualcuno sapeva?

«In quegli anni si sospettava che il console fosse il capo di una sorta di "cellula" che aveva orientato in perfetto stile sudamericano l’azione giudiziaria. Ma non si pensava fino a questo punto...».

Ha mai avuto occasione di parlare dell’inchiesta su Tangentopoli con i pubblici ministeri che la gestirono?

«Recentemente mi sono ritrovato assieme a Gherardo Colombo in un dibattito pubblico e gli ho detto che ormai quella "guerra" era finita e che sarebbe stato bene se i suoi protagonisti avessero rivelato come veramente andarono le cose. Aggiunsi che si diceva che lui fosse legato alla Cia e Di Pietro al Fbi. D’altra parte Di Pietro era stato negli Usa ben quattro volte durante l’inchiesta...».

E lui?

«Lui non smentì. Sbiancò in volto, ma non disse nulla, non replicò».

Perché Bartholomew ha detto quello che ha detto?

«Rientrata l’emergenza Mani Pulite, Bartholomew fece sparire le prove, come avviene in tutti i colpi di Stato. Alla fine della sua vita ha voluto levarsi un peso, probabilmente, rendendosi conto che il coinvolgimento Usa si era spinto troppo in là».

Ma le tangenti c’erano. Questa non era un’invenzione...

«Certo. Non si può negare la degenerazione del sistema partitocratico, che, peraltro, è aumentata in misura industriale con la seconda Repubblica. Però si creò un vuoto politico con influenze extraistituzionali ed extranazionali. Ora non c’è più dubbio».

Qualcuno pensa che l’episodio di Sigonella segnò una frattura collegata all’atteggiamento americano durante Mani Pulite. Le risulta?

«No. Tutto nasce dall’89, dalla fine della logica di Yalta, che ha imposto agli Usa un altro orientamento. Era utile sbarazzarsi di alcuni leader, come Andreotti e Craxi in Italia, che avevano contribuito a costruire l’Europa. Quelli che mostravano una certa autonomia dagli Stati Uniti, anche se non erano sleali o infedeli».

La Cia ebbe un ruolo importante?

«Sicuramente. Lo spiega anche Bartholomew, sottolineando le ragioni si sicurezza interna e internazionale. Ricordo un bellissimo discorso all’Onu del presidente cileno Salvador Allende nel 1972, in cui delineava con lungimiranza questo sistema, sottolineando come forze economiche sovranazionali che non rispondevano alle regole democratiche erano in grado di orientare e distruggere le sovranità nazionali dei Paesi».

Lo scopo era cambiare un «regime» con un altro?

«Esatto. E la sinistra comunista vi contribuì».

Perché?

«Mani Pulite parte da sinistra e finisce a destra. L’idea originale, coltivata dai comunisti, era quella di un’azione liberatrice dalla partitocrazia che si è conclusa nel populismo più becero. Un populismo tuttora presente in personaggi come Berlusconi, Di Pietro e Grillo. I comunisti commisero un errore clamoroso: pensarono di approfittare di tangentopoli per eliminare il "pericolo" socialdemocratico e s’inebriarono di quella sbornia. Bisogna ricordare che i rapporti di forza elettorali fra socialisti e comunisti erano quasi in equilibrio nel ’92. I comunisti, spaventati da una leadership socialista della sinistra intera, si vendicarono su mio padre. E ci fu anche un effetto pardossale...».

Quale?

«Chi aveva spinto l’Europa verso l’89, verso la dissoluzione del blocco comunista, usciva sconfitto dalla guerra fredda e dalla logica di Yalta. Tra loro, c’erano mio padre e i socialisti».

Come sarebbe andata senza queste influenze, secondo lei?

«Nel ’92 un governo di unità nazionale di Dc, Psi e Pds avrebbe portato a un sistema politico totalmente europeo. Ed era questo che si voleva evitare. Come sarebbe andata? Saremmo rimasti o diventati un Paese normale. Scelga lei il termine più adatto...».

martedì 21 agosto 2012

Camusso: «Lo Stato intervenga e compri aziende in crisi»


«Stiamo affondando di mese in mese e non basta un decreto Sviluppo che darà risultati tra qualche anno. Ci vogliono risposte immediate», dice Susanna Camusso a l’Unità. E lancia una proposta: «Lo Stato intervenga comprando quote delle aziende in difficoltà e le ricollochi sul mercato a crisi passata».

Segretario Camusso, passato il Ferragosto la tenuta dell’euro torna a traballare. È preoccupata?

«Paradossalmente si inseguono falchi di vario genere che sembrano non avere in mente cosa vorrebbe davvero significare la fine della moneta che regge comunque una delle più importanti economie del mondo. In alcune uscite vedo uno spirito vendicativo da parte di esponenti di nazioni che hanno prosperato anche sui debiti dei Paesi del Mediterraneo. Dal quadro comunque esce tutta la debolezza della costruzione europea: il tema vero è quello di una moneta senza Stato e governo, con una banca centrale che non ha i poteri delle banche nazionali. Questa è la vera sfida che va affrontata, il resto sono solo tentativi di via di fuga».
Voi sindacati sembra però non riusciate a farvi sentire...

«Sebbene la crisi rischi di farci tornare a linee difensive a livello di singoli Stati, abbiamo una posizione unitaria di contrarietà al Fiscal Compact a cui hanno contribuito in maniera fondamentale i sindacati di Francia e Germania. Anche senza grande effetto mediatico, la Confederazione europea sta preparando l’appuntamento del 25 settembre a Madrid dove ci ritroveremo tutti per contestare la politica rigorista e per esprimere solidarietà alla Spagna».
Monti intanto ha rilanciato il tema della Spending review dicendo di aspettarsi molto dal piano di tagli di Bondi: si parla di altri 10 miliardi...

«Contrastare gli sprechi e selezionare la spesa sarebbe un’idea giusta. Peccato che già per il primo decreto si trattava solo tagli lineari e tagli all’occupazione. Faccio notare che il taglio delle società che lavorano per Comuni ed enti locali è semplicemente un taglio di posti di lavoro che produrrà disoccupazione e recessione. Per noi spreco è quando si inventano società pubbliche solo per creare posti nei consigli di amministrazione. Un segnale che andrebbe dato per esempio è quello di pagare i manager pubblici con titoli di Stato».
La ministra Fornero invece parla di «dignità del lavoro» e «autunno caldo». Un colpo di sole o sta cambiando qualcosa?

«Io mi auguro che invece siano parole figlie di una riflessione sul fatto che il più grande problema del Paese è il lavoro che non c’è e come questo si coniughi con i diritti delle persone. Ma ci vuole coerenza tra dichiarazioni e fatti e finora non c’è stata. Per settembre la preoccupazione è altissima, vediamo incombere gravissimi problemi anche tra le piccole imprese e le conseguenze che anche i provvedimenti sbagliati presi nella riforma del lavoro sulla riduzione degli ammortizzatori sociali peggioreranno la situazione. Le scelte del governo sono state solo politiche di rigore e non di sviluppo. Ci continuano a raccontare che il decreto Sviluppo e le riforme strutturali daranno risultati negli anni prossimi e invece qua stiamo affondando di mese in mese. Servono provvedimenti qui e ora per difendere quel poco di lavoro che è rimasto e ricominciare a redistribuire reddito, che è l’unica strada per lo sviluppo».

Dunque voi chiedete un cambio di rotta deciso e provvedimenti immediati? Giustifica
«Ci si deve dire con onestà che Paese vogliamo essere. Siamo sempre la seconda economia industriale in Europa: vogliamo rimanerlo? Se sì serve salvaguardare il nostro patrimonio industriale. E, visto che per la crisi investimenti esteri non ce ne sono e molti imprenditori italiani stanno scappando dal Paese, io credo che sia meglio decidere che sia direttamente lo Stato ad investire».

Uno Stato interventista che nazionalizza aziende private? Ma con quali fondi?


«Ad esempio attraverso la Cassa depositi e prestiti per comprare quote di società, per poi ricollocarle sul mercato a crisi passata. Oppure finanziando direttamente progetti industriali che ci consentano di mantenere in Italia settori fondamentali».

martedì 14 agosto 2012

CI HA LASCIATI L'ANZIANA MAMMA DEL COMPAGNO "VENANZO RONCHETTI"


CI HA LASCIATI, "BRANDINA" CLASSE 1914, L'ANZIANA MAMMA DEL COMPAGNO "VENANZO RONCHETTI" GIA' SINDACO DI SERRAVALLE DI CHIENTI , PICCOLA CITTADINA DELL'APPENNINO UMBRO MARCHIGIANO, COLPITA DAL TERREMOTO DEL 1997.

I SOCIALISTI ITALIANI SI UNISCONO AL CORDOGLIO DEL COMPAGNO RONCHETTI, DELLA SUA FAMIGLIA E DELLA PICCOLA COMUNITA' DI SERRAVALLE DI CHIENTI.

sabato 4 agosto 2012

ALTERNATIVA DI CENTROSINISTRA O “MACELLERIA SOCIALE” BIS?

di Mario Michele Pascale

Antonio Di Pietro è uno sbirro fascista. Questo mette d’accordo tutti. Del resto le derive giustizialiste ed autoritarie del Tonino nazionale sono evidenti. Eppure, questa verità, troppo semplice, troppo rifinita, troppo patinata, troppo comunicata, troppo sulla cresta dell’onda, lascia qualche dubbio se viene utilizzata per tenere fuori da un ipotetico accordo di centrosinistra IDV. Il fatto dell’ultima ora è che Vendola e Bersani hanno chiamato in causa Pisapia, sindaco di Milano, chiedendo l’entrata in campo di una “lista di sindaci”. Pare, da ulteriori indiscrezioni, che anche De Magistris, sindaco di Napoli, debba essere della partita, a patto di lasciare Italia dei Valori. E’ evidente che attorno a Di Pietro si sta creando un cordone sanitario. Se però guardiamo quello che gli altri non vogliono vedere, ovvero che ad essere esclusa dalla futura alleanza è anche la Federazione della Sinistra, che nessuno dei big ha degnato del sia pur minimo interesse, lo scenario cambia.

Non si taglia dalla possibile alternativa Di Pietro in quanto tale, si escludono tutti quei soggetti che, dentro e fuori dal parlamento, hanno fatto una reale opposizione al governo Monti.
L’alternativa, che insiste molto sulla presenza dei cattolici di Casini, pare sia una preparazione della continuazione della “macelleria sociale”, che tanto piace ai mercati finanziari. Tutte le forze interessate, sia in buona fede, che giocando in assoluta malafede sulla “sinistra responsabile”, sia gesuiticamente scissi e ricomposti intorno al leader, lanciano sane (e vuote) parole d’ordine. Slogans terribilmente privi di prospettive politiche, castrati in partenza dal fatto di avere in coalizione gli uomini dell’UDC che, di certo, monteranno la guardia ai loro interessi e al loro sistema di valori.
Ha ragione quindi Franco Bartolomei, segretario della Lega dei Socialisti e membro della direzione nazionale del PSI, quando dice che “è evidente che questo fuoco concentrico” su Di Pietro “venga utilizzato strumentalmente per delegittimare complessivamente una ipotesi politica alternativa a quella della convergenza di una cosiddetta sinistra “equilibrata” con il centro in nome della salvaguardia dei mercati finanziari”. L’evidenza è tale che anche dentro Sel, fino a ieri l’altro granitico e fideistico puntello di Nichi Vendola, si aprono delle crepe. Fulvia Bandoli, dirigente nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà, ad esempio, ha dichiarato: “io credo che il centro sinistra debba provare a vincere e a governare da solo, come ha fatto la sinistra in Francia, come abbiamo fatto in tanti comuni, dove, come a Milano, pareva che non avessimo nessuna possibilità. Una alternativa per me è così. Il patto di legislatura con l’Udc non mi convince. E mi scuso con quei compagni che dicono che io non avrei capito. A me pare di avere capito.”
Secondo me Fulvia Bandoli ha capito benissimo. Parole chiarissime le sue che rendono nuovamente evidente un antico quesito, che io ripropongo qui, ai lettori, in questa breve riflessione: ma la presenza di Casini ed il gesuitismo di Vendola, misti all’orrida doppiezza del PD, con una seria alternativa di centrosinistra, “che c’azzeccano?”.

Mario Michele Pascale
PSI – Lega dei Socialisti

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