di Manfredi Mangano*
La situazione ucraina, purtroppo, è tutto fuorchè semplice: sono già
state menzionate sommariamente in quest'Aula le linee di faglia
geolinguistiche che attraversano il Paese. Ad oggi, però, la situazione
sul campo è già diventata notevolmente più complessa di una mera
divisione tra filo-russi e filo-ucraini. Se infatti a Donetsk e
nell'estremo Est del Paese la
mobilitazione della popolazione russa e russofona è di segno
marcatamente filo-putiniano, se non apertamente secessionista, a Odessa,
Dnipnopetrovks e Kharkov la situazione è più contestata e vede
filo-russi e filo-ucraini confrontarsi in manifestazioni e azioni
dimostrative da cui emerge chiara una non condivisione, anche
all'interno della popolazione russofona, di programmi secessionisti.
In Crimea, il sentimento popolare è certamente favorevole al Cremlino:
in ogni caso, non dobbiamo dimenticare che il modo in cui si è arrivati
alla nomina dell'attuale premier filo-russo, seguendo per filo e per
segno la linea di Putin durante la crisi, non sarebbe meno illegale
dell'estromissione di Yanukovich. Il primo ministro della Crimea
appartiene infatti al partito extraparlamentare dell'Unità Russa, che ha
ottenuto solo il 4,2% dei voti alle precedenti elezioni regionali, ed è
stato nominato coni un voto del Parlamento locale sotto lo sguardo
vigile di dimostranti armati e "unità di autodifesa", perdipiù
contravvenendo alle leggi ucraine, che intestano al Governo la nomina
dei governatori regionali (medesimo fenomeno si è poi ripetuto a Donetsk
e nelle altre città dell'Est, senza peraltro passare dai Parlamenti
locali, ma con l'auto-proclamazione a governatori dei capi-dimostranti).
D'altro canto, nonostante il "regime change" a livello di governo
centrale sia avvenuto in maniera formalmente corretta, non si possono
dimenticare alcune questioni cruciali:
1 - L'accordo tra
Governo e opposizioni che era stato mediato dall'Unione Europea poco
prima prevedeva dimissioni spontanee di Yanukovich e nuove elezioni
presidenziali e politiche a breve, con la formazione in ogni caso di un
governo di unità nazionale per svolgere riforme costituzionali e
politiche: questo accordo è stato violato dalle opposizioni, che si sono
servite di un gruppo di oligarchi dell'Est e del Sud guidati da Petro
Poroshenko, ricchissimo magnate del cioccolato di supposte tendenze "di
centrosinistra", ma già fermo sostenitore di Leonid Kuchma, il
Presidente precedente la Rivoluzione Arancione. Uomo noto per gli
omicidi di giornalisti e la corruzione endemica, da cui Poroshenko si
distaccò poco prima della Rivoluzione Arancione presentendo l'aria che
cambiava, per poi tornare a fianco del Partito delle Regioni (che del
blocco politico-criminale di Kuchma è emanazione e che era il partito di
Yanukovich) quando la coalizione liberalconservatrice di Yushenko franò
definitivamente. Poroshenko ha organizzato la rivolta di altri
oligarchi, timorosi di non trovare un posto nel nuovo ordine, che hanno
portato in dote all'opposizione circa 90 deputati, sufficienti per
sfiduciare il Governo e il Presidente.
2 - Uno dei primi atti del
nuovo Governo è stato emanare un decreto con cui venivano abolite le
garanzie linguistiche per le minoranze russe, moldave e romene, gettando
ulteriore benzina sul fuoco.
3 - A peggiorare ulteriormente la
situazione, esponenti di Svoboda e di Pravy Sektor, partiti nazionalisti
con tendenze xenofobe e antisemite che sono però stati in prima linea
negli scontri di piazza, sono stati nominati al Governo in posizioni
cruciali per la difesa, la sicurezza e l'ordine pubblico, senza dubbio
riscuotendo le "cambiali" accumulate con i leader dell'opposizione e la
stessa opinione pubblica.
In questo contesto, è chiaro che
l'attuale classe dirigente ucraina è lungi dal rappresentare qualcosa di
realmente alternativo a Yakunovich e al suo sistema di clientelismo
corrotto: se non altro perchè attualmente si regge in Parlamento proprio
sul sostegno dei più smaccatamente corrotti e clientelari suoi uomini.
La questione della repressione e del pericolo autoritario. Yanukovich è
stato Primo Ministro negli ultimi anni di Presidenza di Leonid Kuchma:
come tale, definirlo "sincero democratico" è qualcosa di lunare.
Ciononostante, gli osservatori internazionali non hanno rilevato
significative violazioni dei diritti politici della popolazione ucraina
dopo la Rivoluzione Arancione, e l'elezione di Viktor Yanukovich alle
Presidenziali 2010 è stata ritenuta complessivamente "free and fair".
Detonatore delle proteste, a fianco della rabbia crescente verso il
malcostume (fenomeno, occorre dirlo, endemico nella classe politica
ucraina, caratterizzata da un tasso di trasformismo e di dipendenza dai
poteri privati allarmante) è stata la decisione di Yanukovich di
congelare il cammino verso l'Unione Europea, per rivolgersi all'Unione
Eurasiatica nascente patrocinata da Putin, in cambio di aiuti finanziari
a fondo perduto per 15 miliardi di dollari e di un ulteriore sconto sul
gas: un "boccone avvelenato", senza dubbio, per attirare Kiev
nell'orbita del Cremlino, ma non certo una scelta autoritaria e suicida,
considerato che certamente riscuoteva l'approvazione della popolazione
russa e russofona, dei comunisti e di altre forze non "etniche".
Inoltre, al di la delle sicure esagerazioni sui numeri, le dichiarazioni
dell'ex premier Azarov sul fatto che l'adesione all'UE sarebbe costata
tantissimo all'Ucraina, in termini di aggiustamento strutturale, è
certamente giustificata: l'economia ucraina è salvo poche eccezioni in
uno stato complessivamente fatiscente, e una adesione all'UE sarebbe
seguita da misure di aggiustamento strutturale durissime, non
controbilanciati dagli aiuti UE.
E' evidente che una
prospettiva del genere sarebbe invisa all'Est industriale, che ne
pagherebbe il costo sociale ed economico diretto, mentre sarebbe più
tollerabile, se non auspicabile per l'Ovest agricolo e legato ai mercati
e alla cultura polacca, che beneficerebbe della fine delle barriere
doganali e degli aiuti della PAC, e alla borghesia emergente di Kiev e
delle grandi città, che spera in nuove opportunità di viaggiare e
cercare fortuna a Ovest e in uno Stato meno sclerotizzato e corrotto.
In questo contesto, appare legittima sia la scelta di Yanukovich di non
firmare l'accordo con la UE, sia le manifestazioni di segno contrario, è
la normale dialettica democratica: da un lato, Yanukovich ha
erroneamente impostato su una piattaforma di scontro la relazione con la
piazza, emanando una serie di decreti che restringevano i diritti di
parola e di associazione e riunione per motivi di sicurezza, dall'altro
l'opposizione stessa si è mostrata ben poco determinata a un compromesso
con l'altra parte. L'intervento di forze estremiste da una parte e
dall'altra ( i "Berkut", teste di cuoio note per la loro stretta
connessione con l'entourage politico-criminale al potere, e i titushki,
giovani palestrati dell'Est, contro le milizie di Svoboda e di Pravy
Sektor, di derivazione skinhead) ha fatto precipitare il confronto a un
livello militare, con circa 90 morti, di cui almeno 10-20 tra le forze
dell'ordine, segno di una battaglia in piazza non unidirezionale.
Che fare ora ?
Non è accettabile una frammentazione dell'Ucraina, ma alle attuali
condizioni, è folle pensare a una Ucraina integrata nell'UE e ancor più
nella NATO, a meno che non si voglia la divisione del Paese. Tantopiù
che lo Stato ucraino è vicino al default, e per ottenere gli aiuti UE
necessari a colmare i rialzi tariffari e la fine dei fondi russi
dovrebbe affidarsi alle condizioni da strozzinaggio del Fondo Monetario
Internazionale.
L'unica soluzione credibile è la creatività: i
rapporti UE-Ucraina potrebbero ispirarsi al framework in cui oggi sono
regolati i rapporti con la Turchia, di fatto una quasi adesione al
mercato interno senza però le strettoie politico-economiche, e lo stesso
potrebbe darsi per l'Unione Eurasiatica. Non si può pretendere,
realisticamente, che il Paese resti unito in caso di scelte geopolitiche
unilaterali: l'Ucraina non è solo un Paese composito per cultura e
vocazioni, è in ogni caso una terra di frontiera tra due sfere di
influenza.
E' comprensibile che la diplomazia USA lavori ("Fuck the
EU!", come venne intercettata l'ambasciatrice) per espandere la NATO a
Est, se necessario spartendosi il Paese: l'Europa è chiamata a una
posizione diversa, più realistica e più rispondente non solo ai nostri
bisogni energetici, ma anche ai reali bisogni del popolo ucraino. Che
non ha bisogno della macelleria sociale del FMI e che non vuole la
guerra civile, sul cui fuoco pure tanti avvoltoi interessati soffiano.
Al contempo, l'Ucraina ha bisogno di riforme economiche e politiche,
che non possono però essere realizzate in una società così divisa: c'è
bisogno quindi un nuovo framework costituzionale inclusivo e
consociativo, fondato su un regime parlamentare o al più
semipresidenziale, un sistema elettorale proporzionale, e un reale
decentramento amministrativo e regionale, con Governatori direttamente
eletti, poteri più incisivi per le regioni e una autonomia rafforzata
per la Crimea, oltre a garanzie per le minoranze etniche, linguistiche e
religiose.
Consiglio Nazionale PSI*