domenica 9 marzo 2014

Nencini come Totò, capostazione a Piovarolo

di Mario Gianfrate

L’inserimento della congiunzione e nel logo del Pes, tra socialisti e democratici, non è cosa di poco conto, un aspetto marginale o formale ma che ne modifica in modo dirompente la sostanza, introducendo elementi di confusione che snaturano e svuotano un contenitore- quello socialista europeodei contenuti per i quali era storicamente sorto, sviluppato e consolidato, ne muta i geni. L’esperimento tutto italiano – o all’italiana –, che ha devastato la sinistra nel nostro paese sbaragliando certezze e speranze, è stato esportato in Europa e, inevitabilmente, produrrà gli stessi deleteri guai che ha prodotto in Italia.
   D’altra parte è chiaro a tutti – tranne a coloro che, per ovvi motivi, fanno finta di non vedere – che il Congresso del Pes tenuto a Roma la settimana scorsa si è trasformato in un’operazione elettorale – l’alleanza tra Schultz e Renzi – determinando la presa di distanza dei laburisti inglesi che non digeriscono la visione europeista e fiscale del candidato tedesco.
   Quella e sanziona di fatto che i piddini non sono diventati socialisti – lo ha detto a chiare lettere Cuperlo - ma che hanno inteso realizzare con essi un’alleanza elettorale e strategica – o di mero potere - sulla logica delle “larghe intese”; è noto che, per lo stesso Renzi, “sinistra” e “destra” sono categorie che appartengono al passato, da appendere al chiodo dell’oblio, tra un paio di logore scarpette di calcio usate in gioventù e una stropicciata fotografia di Matteotti attaccata al muro, rimasta nascosta per anni all’interno di un materasso ripieno di lana e di crine, e che l’Internazionale ha fatto il suo tempo. Meglio la musica da discoteca.
   Il Psi – o quello che resta del più antico e glorioso partito italiano - da padrone di casa si è seduto al tavolo degli invitati. Molti, della base, mugugnano, umiliati nella loro fede e nei loro affetti – al socialismo, comunque la si pensi, hanno dato amore e sacrifici, lo hanno coltivato, giorno dopo giorno, tenero e antico virgulto, nei giorni del sole e nei giorni della burrasca, facendo barriera anche con il proprio corpo perché la pianta non fosse spezzata via dal turbine; ma tanti altri esultano per l’incarico di vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti attribuito a Nencini il quale detiene tutti gli incarichi interni ed esterni del/al Partito. Speriamo almeno che, emulo di Totò, capostazione a Piovarolo, sappia fare arrivare i treni in orario.

giovedì 6 marzo 2014

MANFREDI MANGANO PSI - RIFLESSIONI SULLA CRISI UCRAINA....

di Manfredi Mangano*

La situazione ucraina, purtroppo, è tutto fuorchè semplice: sono già state menzionate sommariamente in quest'Aula le linee di faglia geolinguistiche che attraversano il Paese. Ad oggi, però, la situazione sul campo è già diventata notevolmente più complessa di una mera divisione tra filo-russi e filo-ucraini. Se infatti a Donetsk e nell'estremo Est del Paese la mobilitazione della popolazione russa e russofona è di segno marcatamente filo-putiniano, se non apertamente secessionista, a Odessa, Dnipnopetrovks e Kharkov la situazione è più contestata e vede filo-russi e filo-ucraini confrontarsi in manifestazioni e azioni dimostrative da cui emerge chiara una non condivisione, anche all'interno della popolazione russofona, di programmi secessionisti.
In Crimea, il sentimento popolare è certamente favorevole al Cremlino: in ogni caso, non dobbiamo dimenticare che il modo in cui si è arrivati alla nomina dell'attuale premier filo-russo, seguendo per filo e per segno la linea di Putin durante la crisi, non sarebbe meno illegale dell'estromissione di Yanukovich. Il primo ministro della Crimea appartiene infatti al partito extraparlamentare dell'Unità Russa, che ha ottenuto solo il 4,2% dei voti alle precedenti elezioni regionali, ed è stato nominato coni un voto del Parlamento locale sotto lo sguardo vigile di dimostranti armati e "unità di autodifesa", perdipiù contravvenendo alle leggi ucraine, che intestano al Governo la nomina dei governatori regionali (medesimo fenomeno si è poi ripetuto a Donetsk e nelle altre città dell'Est, senza peraltro passare dai Parlamenti locali, ma con l'auto-proclamazione a governatori dei capi-dimostranti).

D'altro canto, nonostante il "regime change" a livello di governo centrale sia avvenuto in maniera formalmente corretta, non si possono dimenticare alcune questioni cruciali:

1 - L'accordo tra Governo e opposizioni che era stato mediato dall'Unione Europea poco prima prevedeva dimissioni spontanee di Yanukovich e nuove elezioni presidenziali e politiche a breve, con la formazione in ogni caso di un governo di unità nazionale per svolgere riforme costituzionali e politiche: questo accordo è stato violato dalle opposizioni, che si sono servite di un gruppo di oligarchi dell'Est e del Sud guidati da Petro Poroshenko, ricchissimo magnate del cioccolato di supposte tendenze "di centrosinistra", ma già fermo sostenitore di Leonid Kuchma, il Presidente precedente la Rivoluzione Arancione. Uomo noto per gli omicidi di giornalisti e la corruzione endemica, da cui Poroshenko si distaccò poco prima della Rivoluzione Arancione presentendo l'aria che cambiava, per poi tornare a fianco del Partito delle Regioni (che del blocco politico-criminale di Kuchma è emanazione e che era il partito di Yanukovich) quando la coalizione liberalconservatrice di Yushenko franò definitivamente. Poroshenko ha organizzato la rivolta di altri oligarchi, timorosi di non trovare un posto nel nuovo ordine, che hanno portato in dote all'opposizione circa 90 deputati, sufficienti per sfiduciare il Governo e il Presidente.

2 - Uno dei primi atti del nuovo Governo è stato emanare un decreto con cui venivano abolite le garanzie linguistiche per le minoranze russe, moldave e romene, gettando ulteriore benzina sul fuoco.

3 - A peggiorare ulteriormente la situazione, esponenti di Svoboda e di Pravy Sektor, partiti nazionalisti con tendenze xenofobe e antisemite che sono però stati in prima linea negli scontri di piazza, sono stati nominati al Governo in posizioni cruciali per la difesa, la sicurezza e l'ordine pubblico, senza dubbio riscuotendo le "cambiali" accumulate con i leader dell'opposizione e la stessa opinione pubblica.

In questo contesto, è chiaro che l'attuale classe dirigente ucraina è lungi dal rappresentare qualcosa di realmente alternativo a Yakunovich e al suo sistema di clientelismo corrotto: se non altro perchè attualmente si regge in Parlamento proprio sul sostegno dei più smaccatamente corrotti e clientelari suoi uomini.

La questione della repressione e del pericolo autoritario. Yanukovich è stato Primo Ministro negli ultimi anni di Presidenza di Leonid Kuchma: come tale, definirlo "sincero democratico" è qualcosa di lunare. Ciononostante, gli osservatori internazionali non hanno rilevato significative violazioni dei diritti politici della popolazione ucraina dopo la Rivoluzione Arancione, e l'elezione di Viktor Yanukovich alle Presidenziali 2010 è stata ritenuta complessivamente "free and fair".

Detonatore delle proteste, a fianco della rabbia crescente verso il malcostume (fenomeno, occorre dirlo, endemico nella classe politica ucraina, caratterizzata da un tasso di trasformismo e di dipendenza dai poteri privati allarmante) è stata la decisione di Yanukovich di congelare il cammino verso l'Unione Europea, per rivolgersi all'Unione Eurasiatica nascente patrocinata da Putin, in cambio di aiuti finanziari a fondo perduto per 15 miliardi di dollari e di un ulteriore sconto sul gas: un "boccone avvelenato", senza dubbio, per attirare Kiev nell'orbita del Cremlino, ma non certo una scelta autoritaria e suicida, considerato che certamente riscuoteva l'approvazione della popolazione russa e russofona, dei comunisti e di altre forze non "etniche". Inoltre, al di la delle sicure esagerazioni sui numeri, le dichiarazioni dell'ex premier Azarov sul fatto che l'adesione all'UE sarebbe costata tantissimo all'Ucraina, in termini di aggiustamento strutturale, è certamente giustificata: l'economia ucraina è salvo poche eccezioni in uno stato complessivamente fatiscente, e una adesione all'UE sarebbe seguita da misure di aggiustamento strutturale durissime, non controbilanciati dagli aiuti UE.

E' evidente che una prospettiva del genere sarebbe invisa all'Est industriale, che ne pagherebbe il costo sociale ed economico diretto, mentre sarebbe più tollerabile, se non auspicabile per l'Ovest agricolo e legato ai mercati e alla cultura polacca, che beneficerebbe della fine delle barriere doganali e degli aiuti della PAC, e alla borghesia emergente di Kiev e delle grandi città, che spera in nuove opportunità di viaggiare e cercare fortuna a Ovest e in uno Stato meno sclerotizzato e corrotto.

In questo contesto, appare legittima sia la scelta di Yanukovich di non firmare l'accordo con la UE, sia le manifestazioni di segno contrario, è la normale dialettica democratica: da un lato, Yanukovich ha erroneamente impostato su una piattaforma di scontro la relazione con la piazza, emanando una serie di decreti che restringevano i diritti di parola e di associazione e riunione per motivi di sicurezza, dall'altro l'opposizione stessa si è mostrata ben poco determinata a un compromesso con l'altra parte. L'intervento di forze estremiste da una parte e dall'altra ( i "Berkut", teste di cuoio note per la loro stretta connessione con l'entourage politico-criminale al potere, e i titushki, giovani palestrati dell'Est, contro le milizie di Svoboda e di Pravy Sektor, di derivazione skinhead) ha fatto precipitare il confronto a un livello militare, con circa 90 morti, di cui almeno 10-20 tra le forze dell'ordine, segno di una battaglia in piazza non unidirezionale.

Che fare ora ?

Non è accettabile una frammentazione dell'Ucraina, ma alle attuali condizioni, è folle pensare a una Ucraina integrata nell'UE e ancor più nella NATO, a meno che non si voglia la divisione del Paese. Tantopiù che lo Stato ucraino è vicino al default, e per ottenere gli aiuti UE necessari a colmare i rialzi tariffari e la fine dei fondi russi dovrebbe affidarsi alle condizioni da strozzinaggio del Fondo Monetario Internazionale.
L'unica soluzione credibile è la creatività: i rapporti UE-Ucraina potrebbero ispirarsi al framework in cui oggi sono regolati i rapporti con la Turchia, di fatto una quasi adesione al mercato interno senza però le strettoie politico-economiche, e lo stesso potrebbe darsi per l'Unione Eurasiatica. Non si può pretendere, realisticamente, che il Paese resti unito in caso di scelte geopolitiche unilaterali: l'Ucraina non è solo un Paese composito per cultura e vocazioni, è in ogni caso una terra di frontiera tra due sfere di influenza.
E' comprensibile che la diplomazia USA lavori ("Fuck the EU!", come venne intercettata l'ambasciatrice) per espandere la NATO a Est, se necessario spartendosi il Paese: l'Europa è chiamata a una posizione diversa, più realistica e più rispondente non solo ai nostri bisogni energetici, ma anche ai reali bisogni del popolo ucraino. Che non ha bisogno della macelleria sociale del FMI e che non vuole la guerra civile, sul cui fuoco pure tanti avvoltoi interessati soffiano.

Al contempo, l'Ucraina ha bisogno di riforme economiche e politiche, che non possono però essere realizzate in una società così divisa: c'è bisogno quindi un nuovo framework costituzionale inclusivo e consociativo, fondato su un regime parlamentare o al più semipresidenziale, un sistema elettorale proporzionale, e un reale decentramento amministrativo e regionale, con Governatori direttamente eletti, poteri più incisivi per le regioni e una autonomia rafforzata per la Crimea, oltre a garanzie per le minoranze etniche, linguistiche e religiose.

 Consiglio Nazionale PSI*

martedì 4 marzo 2014

NON E' PIU' TEMPO DI ASPETTARE - O SOCIALISMO O BARBARIE !

di Franco Bartolomei*

Cari Compagni ,
Sono accaduti negli ultimi mesi 5 rilevantissimi eventi politici ( L'avvento di Renzi alla Segreteria del PD , La dissoluzione dell'alleanza Italia Bene Comune , L'Accordo con FI su un modello di riforma elettorale proposto da Renzi ispirato ad una logica rigidamente maggioritaria con sbarramenti d'accesso impossibili per i partiti piu' piccoli , La Formazione di un governo presieduto da Renzi sulla base di un accordo tra PD e Centro, che vede l'ingresso nella compagine di governo del PSI con un ruolo marginale ed accessorio al PD, e da ultimo L'adesione del PD ad un PSE opportunamento riveduto nella sua denominazione ) che, in modo concordante e complementare , portano tutti ad una ridefinizione di un nuovo sistema politico all'interno del quale la presenza di un Partito Socialista autonomo viene di fatto ad essere messa assolutamente in discussione.

Purtroppo la risposta del Partito Socialista a tutti questi accadimenti e' stata erronea, ed insufficente per tentare di evitare questo esito che allo stato appare sempre piu' scontato .

Come Sinistra Socialista abbiamo gia' ampiamente chiarito le motivazioni della nostra contrarieta' radicale all'ingresso nel governo Renzi dei Socialisti , anche nell'ipotesi del riconoscimento di una nostra presenza nell'esecutivo , poiche' questo avrebbe significato l'accettazione di una rottura a sinistra dello schieramento riformatore , irrecuperabile in tempi politici ragionevoli vista la continuita' evidente di questo governo sui contenuti con le esperienze Monti e Letta e , peggio ancora , il nostro consenso sostanziale all'ipotesi di riforma elettorale di Renzi .

Allo stato attuale l'unica strada per salvare il Partito e' la presentazione alle elezioni europee di una nostra lista Socialista autonoma , che porti il suo sostegno al compagno Shultz in nome di una appartenenza al socialismo europeo che ci iduce a mettere in secondo piano le nostre riserve sulla politica dei socialdemocratici tedeschi , in ogni caso chiaramente orientata a mantenere un dialogo aperto con tutte le altre forze della sinistra europea ed italiana che si accingono a sostenere il compagno Tsipras .

Una nostra lista autonoma alle europee e' indispensabile per raccogliere tutte le nostre forze e salvaguardare la nostra struttura sul territorio , e per consentirci di traguardare l'attuale congiuntura politica verso la ricostruzione di una nuova soggettivita' politica socialista a sinistra del PD , in grado di ricostruire una sinistra di governo ben piu' autonoma culturalmente , e molto piu' rappresentativa della domanda di cambiamento che sale dal paese reale .

Al di fuori di questa scelta avremo solo una progressiva ed ineluttabile malinconica confluenza, ad ogni appuntamento elettorale, nelle liste del PD , cessando per il sistema politico di essere un partito reale , nonostante le nostre autoprofessioni di esistenza .

A nome della Sinistra Socialista chiedo quindi la convocazione di una Direzione Nazionale del Partito e di un Consiglio Nazionale, per decidere la presentazione della nostra lista alle Elezioni Europee , ed anche per attuare ( in Direzione ) le prescizioni dell'art 21 dello Statuto in relazione alla concessione della prevista deroga necessaria per l'assunzione di un incarico di governo da parte del Segretario Nazionale .

Segreteria Nazionale del PSI*

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