venerdì 27 gennaio 2012

Se si parla di Lega non c’è “libero fischio in libera piazza”

Il sit-in di mercoledì scorso al Viminale, in cui militanti socialisti hanno esposto decine di tricolori prima di essere sgomberati dalla polizia, è stato solo l’ultimo manifestarsi di un paradosso sempre più frequente in Italia: la censura dei simboli dell’unità nazionale da parte delle forze dell’ordine. Ancora prima dei fatti del 22 gennaio a Milano, il braccio censorio della legge è entrato in azione a Civitanova Marche (MC), dove 6 politici del centrosinistra sono stati indagati per aver manifestato con il tricolore e aver cantato l’inno di Mameli.

LA COINCIDENZA – Era il 24 settembre dello scorso anno. Ivo Costamagna, segretario della Federazione provinciale del Psi di Macerata, con altre forze politiche del centrosinistra aveva organizzato un banchetto in Piazza XX Settembre. L’iniziativa, che veniva replicata da 5 sabati ed era stata autorizzata dalla questura, consisteva in una raccolta firme per promuovere le primarie del centrosinistra per le amministrative di maggio. Il caso ha voluto che, per lo stesso giorno e a pochi metri di distanza, fosse stata organizzata la finale di Miss Padania. Prima del concorso di bellezza si sarebbe tenuto un comizio di Luca Rodolfo Paolini, deputato leghista.

L’AVVERTIMENTO – La notizia della concomitanza dei due eventi si era sparsa qualche giorno prima, così i militanti del centrosinistra erano più numerosi del solito e “armati” di bandiere tricolore. Poco prima che il comizio di Paolini cominciasse, srotolate le bandiere una sessantina di persone attraversavano la strada raggiungendo il luogo del concorso leghista e intonando l’inno di Mameli contestavano il parlamentare del Carroccio. «Dopo poco mi si è avvicinato un uomo che non conoscevo», testimonia Ivo Costamagna. «Mi ha detto che sarebbe stato opportuno smetterla – prosegue – e si è presentato come vicequestore aggiunto».

QUANTO ZELO – Dopo non più di un quarto d’ora, giusto il tempo di richiamare l’attenzione dei manifestanti e potersi spiegare, Costamagna convinceva i presenti ad assecondare la richiesta del funzionario di polizia, rientrando al banchetto pur proseguendo a intonare l’inno nazionale. Nessun incidente, né con la polizia né con i pochissimi spettatori leghisti del comizio. Per Costamagna e gli altri militanti «era finito tutto lì». Non avevano fatto i conti con lo zelo del vicequestore.

LE INDAGINI – Una decina di giorni fa, a oltre 3 mesi di distanza dall’accaduto, 6 esponenti politici presenti a quella manifestazione si sono visti recapitare un avviso di conclusioni delle indagini, un passaggio che in genere precede una richiesta di rinvio a giudizio. Oltre a Costamagna, destinatari dell’avviso sono il candidato alle primarie Tommaso Claudio Corvatta (Fds), Giorgio Berdini (Pd), Luigi Carlocchia (Sel), Amedeo Regini e Grazia Pierluca (Citt@verde). L’ipotesi è che i sei abbiano dato vita a una manifestazione non autorizzata e abbiano contravvenuto a un ordine di Pubblica sicurezza.

IL PARADOSSO – «Accuse assurde» a giudizio del segretario federale del Psi, «perché sia la nostra manifestazione che quella leghista da noi contestata erano autorizzate. Inoltre, quello del vicequestore non era un ordine ma un invito, al quale per altro ci siamo attenuti». Sembrerebbe il colmo, invece si raggiunge il paradosso. Infatti, è lo stesso Paolini a scagionare gli accusati: «Si è trattato di una contestazione condotta in maniera civile», ha dichiarato all’Avanti!online il deputato leghista. «Urlavano cori e cantavano, ma io ho potuto parlare tranquillamente – ha aggiunto – e in nessun momento ho avuto l’impressione che ci fosse una situazione di pericolo». In conclusione Paolini ha espresso l’augurio «che tutto si chiuda con una archiviazione». E pensare che si sarebbe potuto evitare tutto. Sarebbe bastato tener presenti le parole del presidente Sandro Pertini: «Libero fischio in libera piazza».

Nicola Bandini

Il sit-in di mercoledì scorso al Viminale, in cui militanti socialisti hanno esposto decine di tricolori prima di essere sgomberati dalla polizia, è stato solo l’ultimo manifestarsi di un paradosso sempre più frequente in Italia: la censura dei simboli dell’unità nazionale da parte delle forze dell’ordine. Ancora prima dei fatti del 22 gennaio a Milano, il braccio censorio della legge è entrato in azione a Civitanova Marche (MC), dove 6 politici del centrosinistra sono stati indagati per aver manifestato con il tricolore e aver cantato l’inno di Mameli.

LA COINCIDENZA – Era il 24 settembre dello scorso anno. Ivo Costamagna, segretario della Federazione provinciale del Psi di Macerata, con altre forze politiche del centrosinistra aveva organizzato un banchetto in Piazza XX Settembre. L’iniziativa, che veniva replicata da 5 sabati ed era stata autorizzata dalla questura, consisteva in una raccolta firme per promuovere le primarie del centrosinistra per le amministrative di maggio. Il caso ha voluto che, per lo stesso giorno e a pochi metri di distanza, fosse stata organizzata la finale di Miss Padania. Prima del concorso di bellezza si sarebbe tenuto un comizio di Luca Rodolfo Paolini, deputato leghista.

L’AVVERTIMENTO – La notizia della concomitanza dei due eventi si era sparsa qualche giorno prima, così i militanti del centrosinistra erano più numerosi del solito e “armati” di bandiere tricolore. Poco prima che il comizio di Paolini cominciasse, srotolate le bandiere una sessantina di persone attraversavano la strada raggiungendo il luogo del concorso leghista e intonando l’inno di Mameli contestavano il parlamentare del Carroccio. «Dopo poco mi si è avvicinato un uomo che non conoscevo», testimonia Ivo Costamagna. «Mi ha detto che sarebbe stato opportuno smetterla – prosegue – e si è presentato come vicequestore aggiunto».

QUANTO ZELO – Dopo non più di un quarto d’ora, giusto il tempo di richiamare l’attenzione dei manifestanti e potersi spiegare, Costamagna convinceva i presenti ad assecondare la richiesta del funzionario di polizia, rientrando al banchetto pur proseguendo a intonare l’inno nazionale. Nessun incidente, né con la polizia né con i pochissimi spettatori leghisti del comizio. Per Costamagna e gli altri militanti «era finito tutto lì». Non avevano fatto i conti con lo zelo del vicequestore.

LE INDAGINI – Una decina di giorni fa, a oltre 3 mesi di distanza dall’accaduto, 6 esponenti politici presenti a quella manifestazione si sono visti recapitare un avviso di conclusioni delle indagini, un passaggio che in genere precede una richiesta di rinvio a giudizio. Oltre a Costamagna, destinatari dell’avviso sono il candidato alle primarie Tommaso Claudio Corvatta (Fds), Giorgio Berdini (Pd), Luigi Carlocchia (Sel), Amedeo Regini e Grazia Pierluca (Citt@verde). L’ipotesi è che i sei abbiano dato vita a una manifestazione non autorizzata e abbiano contravvenuto a un ordine di Pubblica sicurezza.

IL PARADOSSO – «Accuse assurde» a giudizio del segretario federale del Psi, «perché sia la nostra manifestazione che quella leghista da noi contestata erano autorizzate. Inoltre, quello del vicequestore non era un ordine ma un invito, al quale per altro ci siamo attenuti». Sembrerebbe il colmo, invece si raggiunge il paradosso. Infatti, è lo stesso Paolini a scagionare gli accusati: «Si è trattato di una contestazione condotta in maniera civile», ha dichiarato all’Avanti!online il deputato leghista. «Urlavano cori e cantavano, ma io ho potuto parlare tranquillamente – ha aggiunto – e in nessun momento ho avuto l’impressione che ci fosse una situazione di pericolo». In conclusione Paolini ha espresso l’augurio «che tutto si chiuda con una archiviazione». E pensare che si sarebbe potuto evitare tutto. Sarebbe bastato tener presenti le parole del presidente Sandro Pertini: «Libero fischio in libera piazza».

Nicola Bandini

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