martedì 12 febbraio 2013

TRA I SOCIALISTI SI DEVE APRIRE UN CONFRONTO FRANCO E LEALE

di Roberto Biscardini

Cari compagni,
purtroppo oggi non posso essere con voi e quindi non potrò ascoltare le prime riflessioni di una discussione che certamente dovrà continuare, soprattutto dopo il voto del 24 e 25 febbraio, coinvolgendo in modo aperto le energie e i contributi di tutti coloro che ancora si riconoscono nel socialismo italiano e che hanno ancora un interesse ad impegnarsi. Un approccio necessariamente largo, se è vero come appare chiaro a tutti, che siamo di fronte alla fine di un ciclo. Il ciclo lungo della diaspora, quello che i socialisti hanno vissuto nell’ultimo ventennio, che non si è risolta nella ricomposizione delle diverse anime, ma è finita addirittura nella loro dissoluzione. Se per vent’anni avevano resistito, sia a sinistra come a destra, piccole formazioni socialiste, che in occasione delle elezioni si sfidavano presentando liste tra loro contrapposte, adesso alle elezioni politiche di liste socialiste non ce n’è neppure una. Ma ha avuto anche una battuta d’arresto il ciclo breve del PSI, quello nato dopo la Costituente del 2008. La prospettiva politica di tenere in vita una formazione autonoma che, dopo tante iniziative politiche e programmatiche, avrebbe dovuto tornare in Parlamento con le proprie gambe è andata perduta.
L’alleanza elettorale con PD e SEL e la coalizione politica che ne è scaturita aveva come base principale dell’accordo, almeno così è stato riferito, la presentazione di un’unica lista “Italia Bene Comune” nel caso fosse stata varata una nuova legge elettorale con un forte sbarramento o la presentazione di tre liste separate e apparentate nel caso fosse stato confermato il “Porcellum”. Ma non si è realizzata né l’una né l’altra cosa. Ciò pone dei problemi interni al PSI, perché è difficile capire quale sia la ragione sociale di un Partito che non presenta la propria lista quando può farlo, ma richiede anche una riflessione sui rapporti col PD, stante i deludenti risultati della trattativa per la definizione delle candidature socialiste nelle sue liste. Evidentemente non eravamo “in una botte di ferro”, come è stato più volte dichiarato, e il PD non aveva da parte sua un grande interesse di valorizzare l’alleanza con i socialisti, un danno a nostro carico, ma un danno anche all’interesse di tutta la coalizione.
Ciò è confermato in queste ore dalla scomparsa dalla coalizione della presenza socialista.

In queste condizioni, pensate quanto sia difficile ulteriormente difficile fare la campagna elettorale per le regionali con il nostro simbolo, senza l’effetto di trascinamento di un simbolo nazionale e di una campagna di comunicazione unitaria. Liste regionali quindi orfane.
Un’ultima considerazione.
 
Nel quadro politico sconfortante che si va delineando, con una campagna elettorale vuota, con pochi argomenti, senza una visione e una prospettiva seria per affrontare con lungimiranza le diverse crisi del Paese, ci sono comunque alcuni segnali di movimento e di scomposizione che vanno colti. Nonostante alcuni penosi tentativi di ricostruire un blocco antiberlusconiano, la transizione va verso il superamento del bipolarismo e l’arrivo del centro rappresenta comunque una novità. A sinistra il PD dialoga con il socialismo europeo, ma non fa i conti con il socialismo italiano. Secondo la vecchia regola comunista, pensava di essersi coperto a sinistra con Vendola e con Tabacci al centro, ma come sempre è accaduto è nato qualcosa di nuovo ancora più a sinistra e lo sfondamento al centro non mi sembra riuscire. Le culture di democrazia liberale sono fragili e i movimenti di protesta o fortemente populisti crescono in proporzione alla debolezza e alla mancanza di classe dirigente. Intanto la flexsecurity a noi tanto cara con Ichino è finita al centro.
Pochi accenni ma sufficienti a ritenere che c’è ancora un grande spazio per dedicarsi a tenere viva un’iniziativa di ispirazione socialista. Una cultura socialista ancora necessaria a fare nel modo migliore, le “cose” più utili al Paese e alla sua modernizzazione. Certo, occorre una proposta semplice e coraggiosa, una leadership determinata, un gruppo coeso e la presenza di nuclei territoriali organizzati, facendo propria la “grande questione sociale” del Paese. Un tema centrale della politica italiana, che solo una vera riforma dello Stato potrà garantire. Essa rappresentò la ragione di fondo della nascita del socialismo 120 fa, oggi può essere la leva per consentire ai socialisti di ritornare protagonisti di un nuovo cambiamento.
Una sorta di “rivoluzione socialdemocratica e liberale” che nell’agenda politica delle forze che si dicono riformiste non è assolutamente contemplata. In bocca al lupo alle nostre liste e a tutti i compagni impegnati per il Senato e nelle Regioni.

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