domenica 3 giugno 2012

CARLO ROSSELLI ERA SOCIALISTA !

di Giuseppe Giudice

«Paolo Borioni ha stigmatizzato – giustamente – il pensiero di Nadia Urbinati, secondo la quale il socialismo democratico non è che una variante del liberalismo. Una vera e propria sciocchezza. Ricordo la Urbinati ad un convegno del febbraio 1999 (allora ero coordinatore lucano dei laburisti) indetto dai DS (segretario Veltroni) su Carlo Rosselli – Socialismo e Libertà – In quel convegno c’era lo scoperto tentativo da parte dei veltroniani (anche Fabio Mussi era con loro) di fare di Rosselli una sorta di profeta della linea “liberal” di cui Veltroni era il massimo interprete. Insomma del fare dei DS un partito più simile ai democratici americani che ai socialisti europei. Un evidente tentativo di mistificazione che seguiva quello, non meno mistificatorio, nel Psi degli anni 80, operato da Pellicani e Martelli, di una lettura di Rosselli non solo in chiave visceralmente anticomunista ma anche contrapposto al socialismo democratico marxista-revisionista. Anche qui una terribile deformazione del pensiero del grande antifascista toscano.

Poiché nel comprendere Rosselli mi ha guidato la lucidità del pensiero del grande storico socialista Gaetano Arfè. Ecco come Arfè definisce il socialismo di Rosselli “Carlo Rosselli pone il problema di una liberalizzazione del socialismo, non certo nel senso di una annacquamento dei programmi, ma di una esplicita assunzione critica della cultura e dei valori della civiltà liberale, asfissiate dalla cappa dei suoi interessi di classe divenuti nel tempo sempre più mortificanti e soffocanti. Il socialismo di Carlo Rosselli è liberazione dell'essere umano, è umanesimo integrale.”

In effetti rileggendo Socialismo Liberale ed altri scritti emerge con chiarezza che Rosselli era un socialista autentico senza compromessi. Molto più influenzato dal laburismo inglese – ma nella sua variante di sinistra, il “ghildismo” di H.G. Cole, che non dal marxismo secondinternazionalista della SPD. Il ghildismo cerca di recuperare la tradizione del socialismo anarchico, libertario (alla Koprotkin) ma liberandolo dal velleitarismo e dall’utopismo astratto per collocarlo su un terreno costruttivo, politico e riformatore. E Rosselli segue questa linea, anche in aperta polemica con l’autoritarismo bolscevico e sovietico. Il termine socialismo liberale ha una esplicita carica polemica con il socialismo illiberale di Stalin. Si tratta per Rosselli di isolare il nucleo positivo del liberalismo politico e sottrarlo all’uso ideologico fatto dalla borghesia . La sua critica al marxismo non deve trarre in inganno. Ecco cosa dice a proposito Rosselli :“Quando noi diciamo che Marx è superato non intendiamo davvero dire con questo che nulla rimanga di vivo e di vitale del suo pensiero. Al contrario. Nessuno può sognarsi di patrocinare un totale quanto assurdo rinnegamento di Marx, per un ritorno all’utopismo, o a correnti solidaristiche, o a teorie storiografiche, giustamente obliate per il loro formalismo. L’esperienza secolare del moto proletario non si cancella. Il figlio si emancipa, ma non può rinnegare il proprio padre. I socialisti moderni sono figli di Marx, anche se oggi si rifiutano di ricevere la sua eredità senza un larghissimobeneficio d’inventario.”

La sua è più una critica ad un marxismo volgarizzato, strutturalista, intriso di determinismo economico e fatalismo storico che non al Marx che oggi conosciamo meglio (e che diceva di non essere marxista). Del resto ai tempi in cui scriveva Rosselli ancora non erano conosciute opere fondamentali di Marx come i Grundrisse o la Ideologia Tedesca. In questa critica allo strutturalismo ed al determinismo egli si rifà molto al leader del socialismo belga Henri De Man. Che era stato, prima della I guerra mondiale, un socialista ed un marxista rivoluzionario e confluì su posizioni più riformiste dopo il 1920. De Man pubblicò nel 1926 un testo dal nome “al di là del marxismo” in cui confutava le interpretazioni deterministiche della lotta di classe, introducendo un elemento di volontarismo etico di matrice neokantiana. Un volontarismo che però doveva fare i conti con una analisi realistica della storia come Marx insegnava. Insomma per De Man la lotta di classe non poteva ridursi ad un mero riflesso della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione come la lettura strutturalista del materialismo storico suggeriva, Essa conteneva un aspetto politico autonomo di emancipazione umana e sociale che interagiva con la struttura. Era quindi quello che Mondolfo chiamava “il rovesciamento della prassi”, l’interagire tra politica ed economia a cui Keynes più tardi offre una solida base analitica. Questo discorso fu poi approfondito da un comunista libertario come Castoriadis che fece la più radicale critica al socialismo reale in termini marxiani, denunziando la deformazione funzionalista ec autoritaria del marxismo operata da Lenin e Stalin.

Su queste premesse, e concependo il socialismo come filosofia di libertà, Rosselli fonda il suo progetto di socialismo riformatore, democratico e libertario ostile sia al riformismo debole e rassegnato della destra socialdemocratica, sia all’autoritarismo ed al dispotismo leninista. A favore di una socialismo pluralista e democratico, che non si impone per decreto, ma valorizza le forme di partecipazione democratica e di democrazia economica. Non a caso egli vede nel sindacato e nel movimento cooperativo, accanto ai partito, i sogggetti forti di una trasformazione della società. Ammirava l’esperienza dei socialismi belga ed austriaco proprio per il loro carattere federativo con il supporto di un forte movimento sindacale,cooperativo e mutualistico.

Un socialismo forte ed un socialismo realistico. Rosselli non amava il rivoluzionarismo astratto, le fraseologie altisonanti della propaganda che spesso nascondevano l’impotenza politica. Egli vedeva nel processo di trasformazione sociale una sintesi di gradualità e radicalità in una società capitalistica complessa. Il suo socialismo libertario non rinnegava affatto l’intervento pubblico diretto in economia, anzi lo auspicava. Seguendo il planismo di De Man egli riteneva che nei settori strategici della economia (era un sostenitore della nazionalizzazione del credito) e nella gestione dei beni collettivi l’intervento pubblico era essenziale ma andava realizzato in modo radicalmente diverso dal collettivismo burocratico sovietico, tramite la partecipazione dei lavoratori e degli utenti. E comunque occorreva garantire una struttura pluralista e policentrica della economia, con un settore privato però sottoposto al controllo dei lavoratori ed una area sempre più ampia di economia sociale e cooperativa.

Rosselli è stato accoppiato al liberale di sinistra americano Rawls: sbagliato. L’idea di giustizia di Rawls è astratta e astorica come in molto pensiero liberale. Rosselli crede nel conflitto come mezzo di trasformazione ed individua chiaramente nel proletariato la forza propulsiva di essa con la capacità di costruire alleanze con settori importanti di ceto medio.

I socialisti provenienti dal partito D’azione come Lombardi, Foa, De Martino, Brodolini, sono in qualche modo gli eredi del suo pensiero. Lombardi, in particolare, ne ha ampliato molto gli orizzonti. Producendo una sintesi tra le sue suggestioni, il pensiero forte dell’austromarxismo (con la sua interpretazione evolutiva e democratica del marxismo) e la teoria economia postkeynesiana.

Il pensiero di Rosselli è rimasto incompiuto dal suo assassinio. Talvolta manca di sistematicità e se vogliamo di rigore. Ma non c’è dubbio che ha prodotto suggestioni ed intuizioni essenziali per il socialismo moderno. No: Rosselli non era un liberale. Appartiene tutt’intero alla storia del socialismo. E lui e Lombardi ci discono molto in una fase in cui c'è tanto bisogno di socialsimo democratico per impedire che il mondo precipiti nella barbarie in cui lo sta portando il fallimento del capitalismo liberale

Peppe Giudice

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