giovedì 13 agosto 2009

Il regime birmano condanna di nuovo "Aung San Suu Kyi"


Il tribunale speciale condanna il premio Nobel per la pace a tre anni di lavori forzati che poi trasforma “bonariamente” in arresti in casa propria. Per Genser, legale della donna, la sentenza serve a «tenerla fuori dalle elezioni del 2010».

di Susan Dabbus - Pubblicato su www.terranews.it

13/08/2009 - Altri 18 mesi da aggiungersi ai 14 anni di prigionia che hanno caratterizzato quasi ininterrottamente gli ultimi 19 della sua vita. Aung San Suu Kyi è stata condannata ieri dal tribunale speciale, riunito nel carcerare di Insein, per aver violato il regime impostogli dalla reclusione domestica. Nella sua casa infatti il 3 maggio scorso, a poche settimane dalla fine della sua pena imposta nel 2003, è entrato un misterioso personaggio: John Yettaw.

L’uomo di 54 anni americano viene definito dalla stampa internazionale: giornalista, pacifista, disadattato, mormone nonché ex militare del Missouri. Yettaw, armato di pinne e galleggianti tre mesi fa ha nuotato per due chilometri nel lago circostante la casa del premio Nobel, dove si è poi trattenuto due notti, per avvertire la Suu Kyi che dei terroristi stavano progettando la sua morte. La giunta Birmana ha deciso di condannare il coimputato della donna, a sette anni di lavori forzati.

Di cui tre per violazione delle leggi sulla sicurezza, tre per immigrazione clandestina, e infine (la beffa) uno per violazione delle norme municipali sull’attività natatoria. Nell’infliggere la pena esemplare i giudici probabilmente non hanno tenuto conto che il signor Yettaw si sentiva «in missione per conto di Dio». L’uomo, che soffre di epilessia e diabete, si trova già in carcere dal 6 maggio scorso ed è stato ricoverato diverse volte in ospedale.

Nonostante le sue condizioni fisiche precarie, il regime non ha voluto dimostrare “riconoscenza” a Yettaw, il cui gesto è valso l’estromissione di Aung San Suu Kyi dalle prossime elezioni del 2010. La leader della Lega nazionale per la democrazia, infatti non potrà essere votata perché ancora in stato d’arresto, condizione in cui si trova da quando il suo partito vinse legittimamente le elezioni del 1990. Il risultato però non fu mai riconosciuto dai militari che presero il potere nel 1988.

«La sofferenza di San Suu Kyi è quella del popolo birmano - afferma Jared Genser, avvocato della donna -. Nel Paese c’è molta frustrazione e tristezza». Ma il popolo, davanti a una dittatura che spende il 25 per cento del Pil per armamenti e appena il 2 per sanità e scuola messi insieme, non protesta. La paura è grande. «Le condizioni dei domiciliari sono dure - spiega ancora Genser - pochi minuti al giorno di radio internazionali, pochissime visite, niente telefono o internet ».

Per il momento alla Suu Kyi resta la consolazione di vedere intorno a sé la comunità internazionale fare quadrato per ottenere la sua libertà. Oltre all’Onu, il cui segretario Bank Ki Moon ha chiesto il rilascio immediato della donna, in prima linea c’è anche l’Unione europea che non ha mancato di relaziocommentare duramente il prolungarsi del suo strazio. «Stiamo preparando nuove sanzioni per la Birmania - ha detto il premier svedese Fredrik Reinfeldt, guida di turno a Strasburgo - che comprendono restrizioni commerciali contro compagnie di Stato e il divieto di ingresso nella Ue per i quattro responsabili della sentenza di ieri».


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