mercoledì 19 agosto 2009

L’importanza dei “fondamentali” politici di SeL


di Alberto Ferrari

La riunione del 23 luglio scorso, a Roma, alla quale hanno partecipato le segreterie delle forze politiche/movimenti che hanno promosso il progetto politico di SeL, rappresenta certamente un passo avanti sulla strada della costituzione di una forza politica nuova capace di colmare il vuoto lasciato a sinistra dalla nascita del PD. La proposta delle 16 campagne da offrire alla discussione dei compagni su internet, e nel territorio, la proposta di modificare il simbolo di Sinistra e Libertà, togliendo i simbolini dei partiti/movimenti aderenti, per svincolare tale simbolo da ” veti localistici” che hanno, in più realtà, impedito di usare tale simbolo nelle passate elezioni, così come la proposta di un “albo nazionale delle adesioni a SeL” rappresentano novità non trascurabili sulla non facile strada di far nascere a sinistra un partito che aspiri a dialogare a tutto tondo con i partiti di cultura socialista degli altri paesi europei.

Ma tutto questo, da solo, non può bastare. E’ oramai ora di parlare dei “fondamentali” politici della nuova formazione, senza i quali ognuno dei partecipanti può esercitarsi nell’arte di tirare il carro dalla sua parte, come dimostrano i diversi commenti e le diverse interpretazioni che ” le segreterie delle forze politiche dei movimenti che hanno promosso il progetto politico di SeL” e i loro simpatizzanti, si sono affrettati a manifestare sui loro, più o meno ufficiali, siti informatici. Basterebbe la polemica sulla legge regionale in Toscana, con il PS che vota in modo difforme dagli altri esponenti di SeL o la lettura dell’indicibile documento dei Giovani socialisti (nazionali), o ancora il congresso del PS che si terrà solo dopo le Regionali del prossimo anno, per trarre più di un motivo di pessimismo più che di ottimismo.

In un bel fondo pubblicato sul Corriere del 19 luglio, Tommaso Padoa Schioppa (per il quale non nutro particolare simpatia) rilevava come, nell’Italia attuale, sta mancando da troppo tempo, a destra come a sinistra, la costruzione di partiti che diano di se stessi il senso della durevolezza, come era stato invece nel passato con la DC e il PCI (Il PDL è oggi una monarchia assoluta che non si sa se durerà oltre il suo monarca, il PD sta cercando di darsi solo ora una configurazione).

Tutto questo si riverbera nel paese che vive, di riflesso, la sua stessa confusione ed insicurezza arrivata, oramai, ad una sorta di disperante sfiducia e/o ribellismo su tutto ed in particolare verso la politica e verso i partiti..

Per spiegare questa sua tesi, TPS, elenca quattro materie, che a suo dire sono indispensabili per ogni partito che voglia dare di se il senso della durevolezza:

L’Ideologia:

“non i ritratti di padri e nonni alle pareti, bensì principi resistenti al mutare delle circostanze in tema di istituzioni, democrazia, giustizia, laicità, economia, socialità”. L’Organizzazione:

“democrazia interna, tesseramento, militanza, finanziamento”. La Linea Politica:

“le alleanze, il programma, le proposte per affrontare non solo nell’immediato ma nel medio termine questioni fondamentali quali la legalità, il ruolo dello Stato, il sistema fiscale, la crisi finanziaria”. La Leadership:

“i criteri per fare la scelta su chi deve governare il partito, le regole successorie, la relazione tra partito e capo del governo”.

Se esaminiamo SeL alla luce di queste quattro materie, mi pare possibile fare queste quattro osservazioni (ma altri compagni potranno dissentire o aggiungerne o farne altre).

Ideologia

SeL, per nascere, dovrà essere ideologicamente nuova. Nuova rispetto alla storia dei due maggiori partiti della sinistra italiana del dopoguerra, il PCI e il PSI. Nuova perché se non lo si fa si rischia di riproporre l’elenco, contrapposto, dei ritratti dei padri e dei nonni. Padri e nonni, ai quali va tutto il nostro rispetto e la nostra commozione, ma che, avendo diviso per oltre quarant’anni la sinistra senza arrivare all’umiltà di un sintesi, rischiano di continuare ad essere portatori di divisioni. Occorre una volta per tutti riconoscere che, al di la dei meriti e dei torti di ciascheduno, mentre in Italia, in quegli anni, ce li si dava di santa ragione (e la destra vinceva e governava), in Europa cresceva e si rafforzava una sinistra socialista nuova rispetto alla sua storia passata. Una sinistra che, a partire dal 1959, anno della svolta ideologica della SPD a Bad Godesberg, iniziava a rifondare nel profondo la vita politico-sociale-culturale-economica di tutta l’Europa. Una sinistra che riconosceva che se i fini erano il raggiungimento dell’eguaglianza delle libertà per tutti e delle solidarietà, i mezzi erano la democrazia parlamentare e l’economia di mercato e non la loro distruzione in nome di un improbabile sol dell’avvenire. Da lì partirei, rileggendoli e studiandoli, sia perché sono più a sinistra di quanto noi abbiamo mai potuto pensare, sia perché è dall’allontanamento da quei principi, da quelle analisi e da quelle pratiche, che è poi derivata, con le terze vie di Blair e di Schroder alle quali ha aderito prontamente una parte estesa della dirigenza diessina, la progressiva perdita di ruolo delle sinistre in Europa. Ripartire da lì, da quei “fondamentali” per allinearli alle nuove sfide della globalizzazione e dei disastri ambientali dalla stessa causati. Ripartire da lì perché il nostro destino, come sinistra italiana, si gioca in Europa, insieme alle altre forze socialiste ed al nostro contributo per fare si che esse possano ritornare egemoni nel parlamento europeo. Il non aver capito che la dimensione del socialismo o è sovranazionale o è destinata alla sconfitta è stato forse il peggio errore dei partiti socialisti europei quando erano maggioranza nei paesi europei. Le 16 campagne sono utili e necessarie per farci conoscere, ma esse non si sostituiscono ad una ideologia (di cui i compagni, e tanti che non votano più, sentono il bisogno) nel senso indicato da TPS: capace di resistere al mutare delle circostanze e, aggiungo io, capace di funzionare da bussola per affrontare il difficile mare aperto delle nuove sfide. Organizzazione

Se ne parla da tempo. Da troppo tempo. Nessuna associazione può durare a lungo senza regole e senza una organizzazione. Senza sapere dove ci si può tesserare e dove ci si può incontrare per contribuire alla sua crescita. Girano molte idee. Penso che sia urgente fare sintesi per fare partire il tutto, ed il tesseramento in particolare, nel più breve tempo possibile. Perché questo è indispensabile a non lasciare morire la periferia, il territorio. Con chi ci sta. Se alcuni non sentono l’esigenza di anticipare i loro congressi, nulla di male; ma non ci si può fermare per attenderli. Si avrà tempo, dopo, per migliorarla nei contenuti e nella forma. Una cosa dovrà però essere subito chiara: SeL non potrà essere l’approdo di soggetti abituati a passare da un campo politico - o da un movimento - all’altro, né di soggetti con una storia politica e giudiziaria poco trasparente. Ne andrebbe sin dall’inizio della sua stessa immagine. Ne potrà essere un sorta di prelazione, con pretese egemoniche, da parte di chi preferisce per ora continuare nella sua forma di partito, in attesa di decidere secondo convenienze future. E la sua vita interna non potrà che essere basata su regole pienamente democratiche: una testa un voto.Linea politica

Personalmente credo che SeL non nasce per aspirare ad uno splendido isolamento, né per fare dell’antagonismo una quasi ideologia. SeL nasce per aspirare a battere la destra e governare paese. Il tema delle alleanze per governare è dunque strategico e non meramente tattico. SeL è un progetto politico-culturale, un’idea di società prima che un partito politico. Per questo le alleanze non possono che basarsi sulla condivisione di valori di fondo il cui fine è la realizzazione piena della dignità di tutte le persone. E non c’è dignità se non c’è legalità, se non ci sono i diritti civili per tutti, se non c’è lavoro, se non ci sono pari opportunità, se non c’è solidarietà come fondamento dello Stato e del suo agire, prima ancora che dei singoli cittadini. Oggi la gente vive la classe politica come una casta interessata solo a se stessa ed ai suoi affari. Al più il politico è visto come un “mediatore di affari” e non certo come un esempio di moralità, di competenza di serietà e sobrietà. Non è stato così, almeno per molti anni, con la DC e con il PCI. Oggi abbiamo partiti che, fingendosi democratici, ribaltano i ruoli e chiedono alla gente di dire cosa vogliono anziché indicare loro che tipo di paese, che tipo di società propongono di voler realizzare se avranno la maggioranza dei voti. Occorre, come ha scritto più volte Scalfari, recuperare una funzione pedagogica dell’essere partito. Questo deve contenere il programma di un nuovo partito della sinistra: indicare che tipo di società intende promuovere e di quali strumenti intende servirsi. Credo che dobbiamo sforzarci di diventare portatori di valori per una nuova e diversa società come lo fu tra gli anni 60 e gli anni 80 la socialdemocrazia in Germania, in Austria in Svezia. Ma per fare questo dobbiamo essere attenti a darci noi una nuova cultura, rifuggendo le mode o le frasi fatte. Faccio un esempio: tutti dicono che occorre porre al centro, a partire dalla scuola, la cultura della meritocrazia. Difficile di primo acchito dissentire. E’ di moda. Ma vi sono due modi di intendere la meritocrazia. Quella di chi usa la meritocrazia per esasperare l’individualismo, per esaltare solo chi arriva primo indipendentemente dagli altri e chi inserisce il merito in un più profondo processo sociale di crescita collettiva, di gruppo. Crescere, vincendo, soli o crescere, vincendo, con gli altri. La prima è un cultura di destra, la seconda socialista. Potrebbero sembrare aspetti banali, ma sono fondamentali per una scuola che intenda guardare alla responsabilità sociale e non solo alla crescita individuale. La stessa riflessione si potrebbe fare sul termine azienda, lasciato in patrimonio alla sola destra, e da questa utilizzato a suo uso e consumo, mentre esistono diversi modi e culture di “essere azienda”: da quelle a rigida organizzazione e cultura autoritaria a quelle ad organizzazione e cultura condivisa e partecipata. Insomma il programma non è solo un elenco di si e di no; di cose da fare e cose da non fare. Ma ogni si ed ogni no deve essere coerente ed utile al modello socioculturale che intendiamo proporre al paese.La Leadership

E’ forse l’aspetto più complesso e ambiguo. Inquinato dal modello imperante del berlusconismo dove è il leader che costruisce attorno a se un partito a sua immagine e non viceversa. Ma, per la sinistra, come dovrebbe aver insegnato la rapida meteora Veltroni, è la cultura e la linea politica condivisa dai militanti che ” fa emergere” attraverso un processo democratico la sua leadership e non viceversa. E, a mio parere, è bene che resti così.

Sono solo alcuni appunti e riflessioni, ma sulle quali ritengo urgente che debba essere portato il dibattito.


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