sabato 16 gennaio 2010

Socialismo, Craxismo e Modernità

Socialismo, Craxismo e Modernità

di Giuseppe Giudice

16/01/2009 - La teoria critica della società (quella della “scuola di Francoforte) è quella che storicamente, ha per prima sviluppato una critica organica della modernità. I principali esponenti di tale impostazione, Theodor Adorno e Jurgen Habermas, però divergono nelle loro conclusioni. Per Adorno la modernità è un progetto fallito, per Habermas resta invece un progetto incompiuto. Il pessimismo di Adorno ha aperto la strada da un lato al post-moderno e dall’altro al sostanziale nichilismo di un pezzo dell’estrema sinistra antimoderna ed inconsapevolmente nostalgica del mondo precapitalistico e preindustriale, l’atteggiamento positivo di Habermas apre la strada ad una idea di modernità aperta e riflessiva che confluisce nel patrimonio culturale del socialismo democratico. Habermas in particolar modo critica la riduzione della razionalità operata dal capitalismo a ragione tecnico-strumentale ed all’occultamento del suo altro aspetto essenziale: quello discorsivo. In sintesi viene qui criticata la riduzione della modernità all’utilitarismo borghese (su queste premesse filosofiche del resto si fonda la teoria economica borghese dell’utilità marginale) ed ad ideologia apologetica del capitalismo. L’altro aspetto della modernità, quello della ragione critico-discorsiva, esprime al contrario un progetto di emancipazione umana che sfocia nel concetto moderno di democrazia. Ruffolo diceva che capitalismo e democrazia sono i due figli , conflittuali fra loro, della modernità e che la storia dell’epoca moderna e contemporanea è soprattutto storia di compromessi realizzati e falliti tra di essi. Il socialismo che porta a pieno compimento l’idea democratica estendendo essa dal terreno politico-normativo a quello economico e sociale, è quindi uno dei due coni in cui la modernità si è sviluppata. Una premessa doverosa per affrontare un tema (rapporto tra socialismo e modernizzazione) talvolta sfiorato in modo superficiale e ricca di luoghi comuni quando si legge la storia degli anni 80. Secondo questa “vulgata” ripetuta dal programma di Minoli (peraltro serio ed equilibrato) che ripercorreva la vicenda politica ed umana di Bettino Craxi, il PSI craxiano si pose alla guida del processo di modernizzazione del paese nel cuore degli anni 80. In genere quando si parla di modernizzazione “craxiana” ci si riferisce a due fenomeni: quello della “Grande Riforma delle istituzioni” e l’attenzione ai nuovi ceti ed alle nuove professionalità che emergevano in quegli anni. Sulla Grande riforma c’è poco da dire: fu un espediente propagandistico (come lo fu la “questione morale” per il PCI). Nessuna proposta organica di riforma dello stato e delle istituzioni fu prodotta dal PSI in quegli anni. Ma si pone un problema: può un partito socialista separare astrattamente il discorso della riforma istituzionale da quello delle riforme sociali? Il progetto socialista del 1978 (Congresso di Torino) legava organicamente il tema della riforma delle istituzioni politiche ad un progetto di trasformazione in senso socialista e democratico della società. La propaganda degli anni 80 no. La riforma delle istituzioni diveniva uno slogan che restava appeso a se stesso. Per quanto riguarda i nuovi ceti emergenti. Alla I Conferenza programmatica di Rimini del 1982 con lo slogan “meriti e bisogni” si tentava una operazione di costruzione di un blocco sociale che avrebbe dovuto tenere insieme la base tradizionale della sinistra – classe operaia , un mondo del lavoro che stava comunque mutando, con le nuove professioni ed i ceti che appunto emergevano dallo sviluppo che caratterizzò l’Italia nella parte centrale degli anni 80. Insomma c’era la preoccupazione di far sì che l’intera sinistra fosse in grado di allargare la sua base sociale. Il problema qual’era però? Quei ceti emergenti erano anche “rampanti” espressione di egoismo ed individualismo aggressivo e ben poco disposti ad allearsi con il mondo del lavoro che esprimeva, sia pur nelle sue mutazioni, interessi e valori diametralmente opposti e non componibili. Questi ceti rampanti erano per lo più legati al boom del Made in Italy, gente impegnata nel settore del design nell’alta moda. Espressione quindi di un consumismo “alto” che , a lungo andare finisce sempre per essere il segno distintivo dei “cafoni arricchiti” (quelli che indossano anche le mutande firmate). Ora una cosa è sostenere il “Made in Italy” quale settore che garantisce crescita della produzione, esportazioni ed occupazione (qualunque governo serio lo farebbe), ben altra cosa è identificare un partito (il PSI) come il “partito del Made in Italy”, ponendosi alla testa (magari inconsapevolmente) di questo rampantismo sociale che certo era in aperta rottura con l’etica socialista. Ecco come una lettura superficiale dei processi di modernizzazione che non tiene conto del loro carattere contraddittorio può generare una subcultura politica che ha rappresentato uno stimolo ad una deriva negativa del PSI. Negli anni 80 si stavano iniziando a verificare dei forti processi di trasformazione dell’economia che comunque mettevano in discussione la tenuta della base tradizionale della sinistra degli anni 70 ed 80. Di fronte a tali mutamenti una parte della sinistra reagì con la difesa di un mondo che in parte non c’era più (è la posizione del Berlinguer degli anni 80) , un’altra parte (De Michelis e Martelli) con il cavalcare acriticamente processi di modernizzazione che in sé recavano comunque istanze fortemente contraddittorie. Ma un altro settore della sinistra (quella in cui mi sono sempre identificato) con Lombardi, Ruffolo, Carniti, Trentin si pose il tema vero che sfuggiva al demonizzatori ed agli apolegeti (entrambi acritici) della modernità: come governare da sinistra ed in senso Socialista il grande mutamento tecnologico in atto in quegli anni. Purtroppo questa posizione restò minoritaria. Tornando al PSI di quegli anni: si ebbe una sovrapposizione rispetto alla base politica e sociale del partito (che comunque è rimasta fino alla fine) di un ceto rampante (Ruffolo li definisce i “craxini”) “spesso arrogante e scostumato, povero di meriti e ricchi di bisogni” (la definizione è sempre di Ruffolo), che nel corso del tempo attirò nei confronti del partito l’antipatia di un pezzo largo di opinione pubblica (e favorì l’azione liquidatoria da parte dei poteri forti e di pezzo della magistratura). Altra cosa era l’idea Socialista riformatrice degli anni 60, fortemente presente nel progetto socialista del 1978. Una idea di modernità aperta ed inclusiva (alla Habermas) in cui lo sviluppo economico è al servizio di un progetto di civilizzazione e di sviluppo della democrazia, con una forte contestazione della degenerazione consumista (l’alienazione del consumo avulso dai bisogni e dalla utilità effettiva di un bene). Comunque nel 1988 cessò la fase virtuosa dello sviluppo (la stagnazione dell’economia americana ebbe effetti sulle esportazioni europee) e quel castello di sabbia fondato sull’ottimismo di maniera vacillò. Lo stesso Craxi se ne rende conto e nella sua relazione alla II Conferenza programmatica di Rimini ne porta i segni (compreso una forte preoccupazione che il crollo del comunismo favorisse il ritorno di un capitalismo selvaggio. Ne riporto alcuni passi: “la crisi verticale del comunismo mondiale e il crollo a catena dei suoi regimi dell'Est europeo accresce enormemente la responsabilità delle democrazie dell'Occidente di fronte alle necessità ed alle incognite del futuro. Per questo futuro non può bastare il modello di un capitalismo che, pur con le sue contraddizioni appare vincente sul terreno dello sviluppo, ma che non sarebbe in grado di dare soluzioni adeguate alle problematiche sociali. Un futuro rispetto al quale gli stessi istituti di democrazia non sempre paiono sufficientemente attrezzati per assicurare la crescita equilibrata delle Nazioni e la giustizia sociale. Il mondo intero, del resto, è attraversato in modo sempre più marcato dalla grande diseguaglianza che divide i Paesi ricchi dai Paesi in via di sviluppo e ancor più dai Paesi poveri e poverissimi. E' questa forse la principale "questione sociale" del nostro tempo. E' una diseguaglianza che sta inesorabilmente aumentando un giorno dopo l'altro. Il mondo delle società industriali opulente ed avanzate è pieno di retorica e prodigo di buone parole, ma avaro di fatti e di opere concrete. Tutto ciò che si fa oggi per ridurre i grandi squilibri che esistono nel mondo è largamente al di sotto di ciò che si dovrebbe e si potrebbe fare. I dati nudi, crudi, ed incontrovertibili nelle loro proiezioni dicono che, di questo passo, i Paesi poveri sono destinati a diventare solo più poveri ed i Paesi ricchi sempre più ricchi. Se questa tendenza non verrà rovesciata, se non si moltiplicheranno gli sforzi diretti a riequilibrare la situazione, a ridurre il peso soffocante del debito del Terzo Mondo, a favorire un nuovo sviluppo, si prepareranno anni difficili carichi di aspre contraddizioni, di tensioni e di conflitti di ogni genere.”…… “Il progresso scientifico e tecnologico ha portato straordinari benefici alla nostra vita e alla nostra salute, ma ha creato e crea rischi per noi e per le generazioni future. Abbiamo opportunità di produzioni, di consumi e di svago che mai avevamo raggiunto ma queste maggiori possibilità e questa vita più ricca, lorda la terra, l'acqua, l'aria, logora il territorio, degrada il nostro patrimonio culturale.”… “un mercato abbandonato a soli attori economici genera squilibri, poteri prevaricanti ed abusi che impediscono un progresso armonico, danneggiano la collettività e, nel tempo lungo, le stesse attività economiche. Lo Stato deve intervenire sul mercato ma con precise regole: regole che impongano standard professionali e patrimoniali a chi svolge determinate attività, regole limitative delle concentrazioni e a tutela della concorrenza, che assicurino trasparenza ed informazione, che sanzionino diritti e responsabilità, che diano argini alle attività finanziarie e neutralizzino le loro potenzialità speculative e destabilizzanti. Il sistema misto che caratterizza l'economia italiana ha dato risultati positivi e non può essere travolto nel nome di indefinite privatizzazioni agitate talvolta con una demagogia ideologica che nasconde il peggio piuttosto che proposte entro i limiti di una pratica e giustificata concretezza ed utilità. L'impresa pubblica ha ancora molte funzioni da svolgere: c'è ancora il Mezzogiorno, che ha bisogno di infrastrutture, insediamenti produttivi e servizi. Ci sono produzioni e tecnologie verso le quali le partecipazioni statali possono canalizzare le loro risorse finanziarie. C'è il contributo che esse possono dare alla concorrenza e all'efficienza stessa dei mercati. In campo finanziario, l'esplosione delle attività e il moltiplicarsi degli intermediari hanno fatto saltare molte regole del passato, hanno messo a dura prova le capacità degli organi di vigilanza ed hanno occupato un vasto territorio al di fuori di ogni disciplina di trasparenza e di responsabilità” E’ insomma un Craxi diverso che si rende conto che il futuro è colmo di incertezze, che l’ottimismo di maniera sulla modernizzazione non è più di moda. Ed è un Craxi più affine alla tradizione del socialismo italiano. Se queste sue riflessioni, all’alba di tangentopoli, si fossero trasformate in iniziativa politica vera …..ma la storia non si fa con i “se”.

PEPPE GIUDICE

8 commenti:

  1. Una sola notazione.
    Magari si fosse trattato solo dei pubblicitari e della moda!
    La Milano che negli anni '80 precede il resto del Paese nella transizione dalla società industriale alla società dei servizi è soprattutto quella della finanziarizzazione dell'economia e della riconversione delle grandi aree industriali dismesse.
    Processi che si avviano alla fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90 sono in pieno svolgimento
    Moda, spettacolo e comunicazione pubblicitaria ci hanno inflitto un'Assemblea Nazionale piena di "nani e ballerine", insieme ai templi e alle piramidi di Panseca. Ma ben altre conseguenze ha avuto, purtroppo, l'aver "danzato con il diavolo", cioè con finanza e speculazione immobiliare......

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  2. E la foto di Berlinguer con Fidel Castro non la volete vedere?
    E su... un piccolo sforzo..
    http://www.suzukimaruti.it/wp-content/uploads/2006/11/confidel.jpg

    Su Bettino fatevi sempre tre domande:
    1) I finanziamenti illeciti li riceveva solo lui?
    2) Cosa ci faceva con quei finanziamenti illeciti?
    3) Cosa si è messo in tasca lui di quei finanziamenti?
    Alla terza pare abbia già risposto Borrelli: "C'e' da dire che personalmente Craxi non si e' arricchito"
    Ah dimenticavo, le prime due..la prima: no è lampante, la seconda è che senza quei soldi i torturati in America Latina e gli assassinati in Polonia sarebbero cresciuti esponenzialmente, e senza alcuna possibilità di riscatto. Quella che poi hanno avuto anche grazie a quegli aiuti.
    MEMENTO!
    Un'ultima domanda..ma non è d'obbligo: L'Italia allora pur con tutte le corruttele endemiche dellOccidente, le stesse con cui Kohl "comprò" la riunificazione tedesca, uscendo poi con discrezione e nel rispetto generale dalla politica, o quelle con cui Chirac restò invece nella politica, fino a che gli fu consentito e senza che alcuno osasse toccarlo,..allora, quell'Italia era o non era migliore di quella di oggi, e più rispettata nel mondo?
    Ad libitum..

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  3. L'Italia di oggi è certo la peggiore che io ricordi. In realtà quei fenomeni di rampantismo di cui parla Pierpaolo quelli cioè legati alla finanziarizzazione che ha avuto il suo culmine negli anni 90 e nella prima parte dell'ultimo decennio sono più legati alla storia della II Repubblica che della I. Ed hanno interessato trasversalmente centrodestra e centrosinistra. Del resto la vicenda Consorte-D'Alema qualcosa ci dice pure.
    Sulla questione della destinazione dei finanziamenti illeciti e delle tangenti, Carolus, tu lo sai, la penso come te. Però i "craxini" i soldi se li mettevano direttamente nel portafoglio!

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  4. Bettino Craxi
    Spunti salienti del 46° congresso del PSI - Bari giugno 1991

    IL PARTITO
    Il PSI è un Partito di tradizioni combattenti per la libertà, la democrazia e la Repubblica, che oggi vuole concorrere al rinnovamento della Repubblica, al migliore funzionamento del sistema democratico, al consolidamento della libertà su cui esso si fonda.

    POLITICA INTERNAZIONALE
    La crisi del potere sovietico e del sistema comunista, mentre da un lato è stata giustamente salutata come la fine di uno dei sistemi più oppressivi ed inefficienti della storia moderna, dall'altro come era inevitabile, ha creato un'infinità di problemi difficilissimi da risolvere. Un vuoto terribile entro il quale ribollono bisogni nuovi e rivendicazioni antiche, conflitti di nazionalità, conflitti politici e sociali.
    La costruzione di un sistema alternativo, fondato sulle nuove basi democratiche, richiederà tempo e risorse, non potrà subire forzature né potrà svilupparsi sotto il segno di un liberismo selvaggio, che porterebbe solo alle più cocenti delusioni ed ai più grandi contrasti.

    UNITA’ SOCIALISTA
    C'è nel contempo da parte nostra la volontà di promuovere e di realizzare un processo di Unità socialista che si rivolge in primo luogo ai partiti che aderiscono alla Internazionale Socialista e cioè al Psdi che ne è membro, al pari nostro, ed al Pds che ha raggiunto in questa organizzazione lo status di osservatore, invitato.
    E' un processo che non va messo in contrapposizione con le esigenze che nascono dalla stabilità politica dai termini in cui potrà realizzarsi una collaborazione di governo, e con gli equilibri che la potranno sorreggere.
    Quando un processo di questa natura sarà realizzato e compiuto, nei tempi e nelle forme possibili, e che noi auspichiamo possano essere chiare, vincolanti e liberamente accettate da tutti.
    Al nuovo futuro Parlamento spetterà il compito di attuare le riforme necessarie per il rinnovamento della Repubblica. Ai socialisti spetta il compito di impegnarsi e d` i lavorare per creare una più ampia Unita socialista, diversamente da quanto è stato detto e scritto in questi giorni noi non abbiamo posto al Pds il problema dell'Unità socialista dopo e a seguito del risultato del referendum e dopo il risultato che è stato per noi un risultato positivo ma non un successo.
    Noi ponemmo un problema di questa natura e di questa portata all’ indomani del crollo dei regimi comunisti nell'Europa orientale mentre si apriva una grave crisi nella stessa Unione Sovietica lo ponemmo non al Pds, ché allora non c’era, ma al Partito comunista italiano.

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  5. Bettino Craxi
    Spunti salienti del 46° congresso del PSI - Bari giugno 1991
    2°PARTE

    SOCIALE
    Nel campo sociale noi stessi abbiamo compiuto un grande sforzo di elaborazione, di aggiornamento delle nostre proposte, abbiamo sviluppato una continua iniziativa. Desidero in particolare sottolineare il valore delle iniziative assunte nel 'campo della difesa degli anziani, dei problemi dei minori, degli handicappati e l'importanza di tutta la politica svolta a sostegno della parità uomo-donna, per il riconoscimento del lavoro casalingo e poi ancora la politica di iniziativa socialista per affrontare i problemi dell'immigrazione, la nostra presenza ed il nostro sostegno alle iniziative pubbliche e volontarie impegnate nell'opera di prevenzione e di cura delle tossicodipendenze.
    Un ciclo espansivo che si mantenga alto deve produrre delle capacità di intervento nel Mezzogiorno assai maggiori ed assai diverse di quante non siano state sino ad oggi prodotte.
    Ne è condizione tuttavia un clima di sicurezza e di ordine che è oggi tutt' altro che assicurato. Ne è condizione la fine di interventi dispersivi e, in non pochi casi, dissipatori di risorse, e l’attuazione invece di grandi progetti strategici

    AMBIENTALISMO
    Alberto Ronchey, in un suo recente scritto, osserva che vi sono gli estremisti ecologici che arrivano a contestare la "maledetta industria", ma vi sono poi i riformisti ecologici che invece aspirano a moderare, correggere, condizionare l'industria ed orientare le sue opzioni secondo sistemi di giudizio aggiornati all'esperienza ed alle prospettive, ma anche questi ora concludono dicendo "basta". «Basta non con lo sviluppo qualitativo bensì con la cieca devozione alla quantità, con le tecnologie "dure", con la moltiplicazione _ patologica di bisogni e desideri, con gli abusi consumati al "buon banchetto della natura"».

    LA LEGA
    Le Leghe sono un tipico fenomeno di estremiz¬zazione, di proteste, di stati di malessere, di frustrazioni che in molti casi possono avere un loro fondamento. Sono proteste che ci riportano ai vuoti, alle manchevolezze, ai ritardi di uno Stato ancora troppo accentrato, malato di vizi burocratici, in forte ritardo nella modernizzazione dei servizi pubblici essenziali, sono proteste che si rivolgono contro lo sperpero di pubblico danaro in voragini senza fondo specie quando alimentano solo un assistenzialismo organico e clientelare, un parassitismo endemico.
    Non servirà a molto demonizzare le Leghe. Servirà invece una buona riforma dello Stato e delle Regioni, un rafforzamento dei poteri locali, una maggiore efficienza dei servizi pubblici. Servirà una campagna di chiarificazione democratica che contrasti la campagna contraria di qualunquismo e di sistematica denigrazione della classe politica e delle Istituzioni, alimentata da gruppi industriali locali, ma anche dalle molteplici tribune di importanti gruppi editoriali.

    LA SINISTRA
    L'unità socialista e l'unità della sinistra in generale non costituiscono il medesimo obiettivo anche se l'unità socialista rappresenterebbe il passo più importante per l'unità della sinistra. Una volta realizzata l'unità socialista essa potrà esercitare una naturale attrazione verso altre forze di sinistra, potrà costituire un grande punto di riferimento per tutte le tendenze di sinistra di ispirazione democratica e riformatrice.
    Oggi, l'unità dei socialisti deve avere un suo valore proprio, una sua specifica collocazione internazionale, non potrebbe essere confusa con una indistinta unità della sinistra.

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  6. Sarà pure ma in quel portafoglio non ci sono mai rimasti

    (AGI) - Roma, 14 gen - “Mi sono occupato di molte cause internazionali. Un grande eroe della democrazia greca oppressa dai colonnelli, Alekos Panagulis, e’ stato un mio grande amico, in quegli anni della lotta contro la dittatura dei colonnelli greci. Poi e’ stata la volta della solidarieta’ concreta, operante ed attiva con i dissidenti cecoslovacchi, cosi’ come ho aiutato i dissidenti di altri Paesi dell’Est Europa. E la stessa cosa riguarda l’America Latina, per altri Paesi nei quali erano in corso lotte per la liberta’”. Lo afferma Bettino Craxi nell’intervista di Luca Josi che verra’ presentata questa sera al teatro Capranica e che verra’ distribuita domani con il settimanale ‘Panorama’.

    “Arafat - prosegue l’ex Presidente del Consiglio - l’ho conosciuto molti, molti anni fa, era ancora il capo degli studenti palestinesi. Per parte mia aiutai anche la causa spagnola. Solidarmente ho partecipato alla lotta portoghese, prima la lotta contro Salazar e poi contro il colpo di stato comunistoide. Abbiamo dato anche a esuli, dissidenti, perseguitati degli altri paesi. Quella e’ una parte del nostro finanziamento illegale. Evidentemente, nei casi in cui abbiamo dato contributi a dissidenti e partiti, non utilizzavamo certo la Banca d’Italia per trasmettere loro del danaro. Non veniva emessa regolare fattura. Era un gesto fraterno, ed era una partecipazione a delle cause nobili: la liberta’, i diritti dell’uomo, contro ogni forma di dittatura e di violenza. E quindi una parte del nostro finanziamento - una parte - si diresse anche verso queste forme di solidarieta’internazionale”.
    (AGI)

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  7. Quando parlavo di portafoglio mi riferivo ai "craxini" cioè agli scimmiottatori di Craxi , quei lestofanti che hanno appestato il partito, non a Craxi. D'Ambrosio e non Borrelli mi sembra disse che Craxi i soldi dei finanziamenti illeciti li ha utilizzati per fare politica e non per arricchirsi personalmente. Ed io concordo.

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  8. L'hanno affermato entrmbi Peppe. Il che rafforza il concetto credo.

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