venerdì 5 febbraio 2010

Il pensiero rivoluzionario

Il pensiero rivoluzionario


di Andrea Ventura

Esce nelle librerie “Lombardi e il fenicottero” di Carlo Patrignani.

Una ricostruzione documentata e toccante del Grande Socialista Liberale che ha speso la vita alla ricerca dell'alternativa di sinistra.



Oggi che la politica è ridotta a pura gestione del potere fino al punto di violentare le idee e la storia, e un dirigente di primo piano come Massimo D’Alema può arruolare anche Gramsci tra i fautori del Concordato tra Chiesa e Stato fascista, riscoprire la figura e il pensiero di Riccardo Lombardi è un esercizio assolutamente salutare.

Lombardi, infatti, fa parte di quella generazione che, all’opposto, subordinava l’azione politica alla riflessione sui grandi nodi dello sviluppo sociale e civile del Paese. Discutere delle sue idee quindi, di per sé, getta luce sulle miserie della politica odierna. Il libro di Carlo Patrignani, Lombardi e il fenicottero, Edizioni L’Asino d’oro, Roma 2009, si inserisce peraltro in un contesto in cui compaiono numerosi lavori di ricostruzione della vicenda storica dell’Italia dal dopoguerra a oggi, lavori che si interrogano in particolare sulle ragioni della sconfitta della sinistra e che a essa attribuiscono le difficoltà e i rischi per la democrazia che sono sotto gli occhi di tutti.

Da tali studi emerge in modo lampante il passaggio storico, il cambio di clima, possiamo dire il cambio di paradigma politico e di assetto delle forze in campo che avviene tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, quasi che nello scorcio di pochi anni, e in particolare tra il 1976 e il 1979, nel periodo cioè che ha visto il Pci entrare nell’area di governo, si fosse consumata ogni possibilità di offrire ai movimenti degli anni Settanta uno sbocco in grado di avviare un mutamento negli assetti politici e sociali del Paese.

Questo arresto si è poi rapidamente trasformato in una sconfitta di portata storica.

Il lavoro di Patrignani mostra la distanza tra le posizioni di Lombardi e il paradigma fondamentale all’interno del quale si muovevano le principali forze politiche del Paese. Lombardi, infatti, aveva ben chiari i limiti dall’assioma fondamentale del marxismo, per il quale il superamento dei rapporti di produzione capitalistici costituisce la condizione essenziale per la costruzione di una società socialista, ma al contempo era convinto che ogni riflessione sull’economia dovesse partire dal concetto di alienazione di Marx.

Egli era dunque distante sia dal riformismo del Partito socialista, che comportava l’abbandono di ogni prospettiva di superamento del capitalismo, sia dalla proposta di “compromesso storico” avanzata nel 1973 dal Pci di Berlinguer, che in modo assolutamente paradossale legava la possibilità di una prospettiva socialista, cioè di superamento dell’alienazione, all’accordo con una forza politica dichiaratamente cristiana come la Dc.

Lontano dunque dalla rinuncia alla trasformazione sociale ma anche da queste devastanti contraddizioni, pur nella profonda attenzione verso tutto ciò che si muoveva all’interno del mondo cattolico e in campo comunista,

Lombardi non solo si definiva “acomunista” ma riteneva che nessuna riflessione sulla scissione mezzi-fini e sui crimini dello stalinismo potesse prescindere da una critica più profonda al nucleo platonico cristiano di tutte quelle filosofie per le quali la storia avrebbe una sua razionalità legata al compimento di un fine ultimo trascendente, del quale qualcuno, uomo, Stato, partito o Chiesa, sarebbe l’interprete.

Profondamente democratico dunque, ma anche rivoluzionario.

La sua pratica politica, definita come “riformismo rivoluzionario” per il voler tenere insieme la prospettiva di governo con quella dei movimenti di massa, non poteva che basarsi su di una dimensione culturale.

Questa, nello specifico, veniva a configurarsi nella proposta di una società “diversamente ricca”: una società distante sia dal modello capitalistico, sia da quello dei Paesi del socialismo reale, che oltre al benessere economico fosse in grado di domandare più cultura, più tempo libero, «più capacità degli operai di leggere Dante o apprezzare Picasso».

Avanzata fin dagli anni Sessanta, questa proposta culturale si differenziava nettamente dalla “austerità” di Berlinguer e dai “sacrifici” della svolta della Cgil dell’Eur del 1977 le quali, piuttosto che proporre una diversa realizzazione di identità umana, invitavano alla rinuncia e al rispetto delle compatibilità con gli assetti economici e politici in essere.

Il lavoro di Patrignani è accompagnato da una prefazione di Marco Pannella ed è arricchito da interviste allo stesso Pannella, a Michele Ciliberto, Giorgio Ruffolo e Tullia Carettoni.

Esso non guarda al passato ma offre una prospettiva di ricerca che, nel momento in cui la crisi pone problemi nuovi alla politica, all’economia e alla cultura, presenta aspetti di sorprendente attualità.



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