lunedì 20 luglio 2009

"Due Leaders a Confronto"
In risposta a Biagio Marzo su "Socialist"
di Alessandro Silvestri

Biagio Marzo su Socialist, svolge un intervento che tenta un parallelo tra Craxi e Berlinguer. In verità con note un po' troppo indulgenti su entrambi ed in particolare su Bettino Craxi.
Da storico estremamente dilettante e lacunoso quale sono, mi sento di dover aggiungere delle considerazioni un po' meno di parte.


20/07/2009 - Il PCI e il PSI in Italia, si sono spartiti l’eredità del partitone del “biennio rosso” 1919/1921, anche se non tutti i riformisti andarono a finire nel PSI (che anzi conservò a lungo maggioranze massimaliste) così come sarebbe inesatto dire che il PCI fu composto da soli massimalisti. Al di là del peso specifico della corrente “migliorista” non fu così. Questo fu tanto evidente, da determinare dopo la decisione di Nenni di costituire il "Fronte Popolare" la scissione di Palazzo Barberini, dove nacque il terzo incomodo, il PSDI e adirittura un 4° (il PSIUP) dopo l’entrata al governo del PSI (che nel frattempo aveva imboccato una strada definita "autonomista") nel 1964. 4 partiti per rappresentare quello che in Europa al massimo si riferiva a 2 soltanto e che progresivamente si trasformò in un unico grande partito di opposizione, automaticamente candidato a sostituire il partito di governo, al potere. Sia che si trattasse di laburismo tanto che di socialdemocrazia classica. A questi dati storici, bisogna sempre far riferimento per risalire alle radici dell’anomalia dell'oggi. Sul fronte del PSI, si dovette registrare un fenomeno, senza il quale non si può compiere alcuna analisi rispondente ad esigenza di chiarezza e di comprensione. Il Partito che Craxi ereditò nel 1976 da De Martino, non era già più lo stesso, nel 1992. E non tanto per questioni puramente anagrafiche ma per ragioni di progressiva sostituzione di quadri politici veri e propri, con personaggi di vario ceto e provenienza. Craxi anche in questo, anticipò di qualche anno il berlusconismo. Non a caso Rino Formica “fotografò” l’assemblea nazionale del 1991, definendola “dei nani e delle ballerine”. Ecco che, in questo commento impietoso ma realistico, vi è tutto il succo dell’incapacità di reazione del corpo del Partito, allorquando già dall’anno successivo si abbattè sulla c.d. I Repubblica (e in maniera particolarmente accanita contro il PSI) il ciclone giudiziario. L’onda lunga non era diventata così lunga, perchè a fronte di nuovi arrivi richiamati dal taglio pragmatico e decisionista di Craxi (oltreché dalla facilità con cui si poteva far carriera, detenendo il PSI a fronte del 12/13% dei voti, il 30/35% del potere) se ne andavano nel frattempo militanti ed elettori, più fedeli al socialismo classico dei galantuomini e delle grandi battaglie d'emancipazione sociale, che fu rappresentato nella sua massima espressione culturale ed istituzionale dai 7 anni della Presidenza della Repubblica, di Sandro Pertini. Insomma la fine del PSI fu decretata anche dalla manifesta incapacità politica di tutto un apparato che si votò più alla cultura del leader (e anche della mazzetta che serviva per salire più velocemente la scala gerarchica) che agli ideali fondanti di giustizia, eguaglianza e libertà, che sono i dati salienti di qualsiasi socialismo. In questo quadro risulta esercizio del tutto inutile definire il PSI di Craxi in maniera univoca. Dall’altro lato, quello del PCI, valgono le stesse considerazioni. Una volta uscita di scena la massa dei suoi militanti, fatta anche dai funzionari medi e periferici provenienti in larga parte dal disciolto PNF ( e anche per questo motivo, più zelanti degli stessi comunisti della prima ora) la generazione successiva, specialmente quella che possiamo riconoscere nello spartiacque del ‘68, fu composta più autenticamente da una gioventù progressista e libertaria che solitamente nel resto d’Europa, militava nei partiti socialisti. Il suo gruppo dirigente, si macchiò però se possibile, di misfatti ancora più eclatanti rispetto al c.d. "finanziamento illegale" del sistema dei partiti (al quale comunque lo stesso PCI non fu del tutto estraneo in patria) non prendendo le distanze intanto dalle varie aggressioni sovietiche di Ungheria e Cecoslovacchia e nemmeno dopo che Nikita Cruscev, aveva reso di conoscenza mondiale, i crimini dello stalinismo. In secondo luogo per aver accettato almeno fino alla segreteria Gorbacev, massicci finanziamenti da un Paese, anche attraverso i suoi servizi segreti, che apparteneva al fronte degli avversari internazionali, stante l'aderenza dell'Italia al Patto Atlantico. Di questo importante fenomono (che in qualsiasi altro paese occidentale avrebbe sollevato quantomeno una critica di alto tradimento) non vi è ancora tuttavia traccia nella storia politica, istituzionale o meramente giudiziaria, tanto da far sorgere più di una perlplessità. Craxi e Berlinguer anche in questo, furono accomunati più dai loro errori (tanti) che dai loro successi, che in definitiva alla luce dell’oggi, possiamo catalogare come una lunga serie di insuccessi politici. Anche se l’esperienza di Bettino alla guida del Paese, resta uno dei rari esempi di applicazione concreta della cultura riformista, che non possiamo buttare via assieme all’acqua sporca, del PSI dei “nani e delle ballerine” e di tutti i partiti della sinistra italiana che pensarono più al loro “primum vivere” che ad una effettiva modernizzazione e moralizzazione del sistema Paese. Se oggi non c'è ancora una valida, forte e coesa alternativa di governo socialdemocratica in Italia, lo dobbiamo anche agli errori di Craxi e di Berlinguer, e di tutti coloro aggiungiamo, che continuano a citarli a volte anche a sproposito, tacendo inusitatamente sui propri.

4 commenti:

  1. Gran bel saggio....grande Alessandro

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  2. Ho letto anche al nota di Biagio Marzo e queste considerazioni di Alessandro mi sembrano più veritiere e complesse. Non c'è di qua ,Craxi, il Bene e di là, Berlinguer, il Male.
    Entrai come indipendente nel PCI quando Beerlinguer affermò che "la democrazia era un valore universale". Rimasi deluso quando scoprii che il "legame di ferro" con l'URSS non era finito e quando verificai che il "centralismo democratico" non era morto e poi il "caso Moro" e la solidarietà nazionale.
    In quel periodo la politica di Bettino appariva senz'altro INNOVATIVA...poi anche lui ha deluso.
    Ma guai a considerarlo l'ispiratore di berlu...Bettino era un SOCIALISTA....
    Devono vergognarsi queli "socialisti" alla Cicchitto che sono i servi del padrone e signore delle tv e non solo.

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  3. Come sottolinea Alessandro sia il craxismo che il berlinguerismo sono state due esperienze politiche entrambe fallite (per ragioni diverse). Di questo dovrebbero prendere atto i sostenitori degli "opposti estremismi".
    Il craxismo scivolò dall'autonomismo all'anticomunismo connesso ad una gestione bonapartista del potere (causa prima delle degenerazioni). Berlinguer non seppe andare oltre la doppiezza togliattiana (vero macigno politico-ideologico) che alla fine ha condotto(con D'Alema) la sinistra alla distruzione.
    Quella che è stata oscurata, in tale panorama, è stata la grande lezione di Riccardo Lombardi e del suo socialismo riformatore e libertario che ancora oggi è in grado di indicare vie di uscita al disastro attuale.

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  4. Grazie Alessandro per questa tua, come sempre, attenta analisi. Concordo con gli amici e compagni che mi hanno preceduto, in particolare con Antonio quando dice che "Non c'è di qua ,Craxi, il Bene e di là, Berlinguer, il Male.". Su questi errori e sugli "opposti estremisti" che continuano a sostenerli rischia, ancora oggi, di non riuscire a nascere una vera e concreta forza di sinistra in Italia.

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