mercoledì 1 luglio 2009

VIAREGGIO:il controllato non può essere il controllore


La tragedia di Viareggio non è un prezzo che paghiamo al progresso, come sostiene Castelli. E’ il prodotto di direttive europee sbagliate, che liberalizzano incontrollatamente il sistema ferroviario e affidano i controlli agli stessi controllati.

01/07/2009 - Un treno merci che trasporta “merci pericolose” (gas GPL) subisce un guasto tecnico e provoca un’esplosione nei pressi del centro abitato di Viareggio: 13 vittime, 36 i feriti, di cui 14 gravissimi, 5 dispersi. La fuoriuscita del GPL dai vagoni deragliati, la sua diffusione a macchia d’olio nel raggio di 300 metri, fra le palazzine, sotto le macchine. La scintilla di un motorino che trasforma il ragazzo alla sua guida in una torcia umana provocando un gigantesco rogo e il crollo di decine di abitazioni.

“E’ un prezzo che paghiamo al progresso” ha detto il sottosegretario ai trasporti, il leghista Castelli, nel corso di una trasmissione radiofonica della RAI, alludendo alla liberalizzazione del sistema ferroviario, stabilita, nel corso degli anni, attraverso una serie successiva di direttive europee. Da queste direttive emerge, in realtà, una impostazione del problema dei controlli di sicurezza che va radicalmente rivista. Grazie alle direttive comunitarie che regolano la materia della sicurezza del trasporto di merci pericolose, infatti, si sono fortemente indeboliti i meccanismi di controllo sul rispetto delle disposizioni europee.

Se c’è una cosa su cui l’Unione Europea non transige, è la libera circolazione delle merci e delle persone, pilastro del mercato unico da cui ebbe inizio il sogno di un’Europa unita. Un sogno che a posteriori può dirsi, se non fallito, pesantemente menomato, dal momento che è riuscito a imporre la sua sovranità solo e unicamente in ambiti, come quelli concorrenziali, puramente economici, tralasciando diritti sociali, civili, garanzie nel lavoro, nella sicurezza, nell’uguaglianza.

Così la normativa che regola il trasporto per via ferroviaria di merci pericolose (direttiva 96/49/CE recepita dal Dlgs 41/1999) stabilisce “norme nazionali di sicurezza” e crea un mercato unico per i servizi di trasporto di merci pericolose, specificando che gli Stati membri conservano il diritto di stabilire requisiti in materia di sicurezza per il trasporto nazionale o internazionale, nei casi in cui il settore non è regolato dalla presente direttiva. Le normative richiamate, insieme al RID (trasporto internazionale per ferrovia delle merci pericolose in Europa), costituiscono l’ossatura del problema e in nuce contengono una spiegazione di tragedie come quella di Viareggio. In sostanza per garantire la sicurezza dei trasporti (soprattutto di quelli potenzialmente pericolosi per le persone e per l’ambiente) viene stabilito un sistema di controlli che fa ricadere sul “controllato” (le ditte produttrici e utilizzatrici di vagoni, contenitori cisterne, imballaggi etc) l’onere del controllo, senza che un ente terzo (come accade per il trasporto aereo) faccia da terminale ultimo e “super-partes” a garanzia della sicurezza.

Sulle pubbliche rotaie infatti circolano vagoni privati, proprietà di società private a cui spetta di farsi carico così dei problemi della pubblica incolumità. In sostanza lo stesso soggetto è al tempo stesso controllore e controllato, con un evidente conflitto di interessi.Così nasce la logica “scarica barile” che abbiamo visto nelle ultime ore: i vagoni di Viareggio erano proprietà di una società internazionale (la Gatx Rail) con sede europea a Vienna, incaricata, secondo le direttive europee , dei controlli. La società assicura di essersi assicurata della “buona salute” dei container prima di affittarli ai “clienti finali“, che, secondo la Gatx sono i responsabili delle sostanze trasportate e della gestione del mezzo.

Werner Mitteregger, numero due della Gatx a Vienna, sostiene che “è come quando si affitta un’auto“, la responsabilità della manutenzione e della gestione del mezzo ricade su chi ha preso in affitto i vagoni.

In pratica non si capisce chi possa assicurare che i controlli “incrociati” (in parte dei proprietari, in parte degli affittuari) dei vagoni siano stati effettivamente eseguiti. E chi sarebbe, nel caso, punibile penalmente. Questa la logica del cane che si morde la coda, come recepita dal capitolo 1.4 (obblighi di sicurezza degli operatori) e 1.10 (disposizioni concernenti la sicurezza) del RID. In sostanza la sicurezza del trasporto di materiali pericolosi è affidata, nei fatti, ad una sorta di autocertificazione degli interessati. E così che la logica del profitto crea danni, come abbiamo visto, tutt’altro che invisibili. Per anni ci hanno spiegato che occorreva liberare le aziende private da quei lacci e lacciuoli che ne tarpavano lo sviluppo, riducendo al minimo e in qualche caso azzerando ogni forma di controllo pubblico, con il risultato di sacrificare la sostenibilità sociale, ambientale e la sicurezza sull’altare del profitto. Se la “mano invibile” di smithiana memoria e thatcheriano recepimento, può essere adatta a regolare situazioni strettamente mercantili, non permette, tuttavia, di spiegare fenomeni come la disoccupazione e di trattare adeguatamente ambiti particolari dove bisogni fondamentali devono essere soddisfatti. La salute è uno di quelli.


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