venerdì 24 luglio 2009

"PACCHETTO SICUREZZA: CRITICHE DA RINVIO"


Perché il Presidente Napolitano non ha rinviato il testo alle Camere, come è nelle sue prerogative e come l’assoluta negatività del provvedimento, resa più evidente dai suoi stessi rilievi, avrebbe richiesto? Se lo chiede Elettra Deiana.
di Elettra Deiana*

24/07/2009 - Rimane la legge sulla sicurezza, con le ronde, la criminalizzazione dei migranti, le delazioni obbligate per medici e presidi, i divieti di accesso ai diritti primari della cittadinanza per chi non ha il colore della nostra pelle, e tutto il resto, tra le pieghe di un testo indecente. E rimane la rottamazione dell’articolo 3 della Carta del 1948, uno di quelli che fondano l’idea di una società degna di questo nome e che oggi è solo il reperto di un “come eravamo” che non interessa più nessuno. Quell’articolo è oggi non soltanto fuori moda ma fuori legge, come è fuori legge la Costituzione. Che altro dire infatti se, a Costituzione vigente, i suoi principi costituitivi vengono stravolti e cancellati da una legge ordinaria, scombiccherata e raffazzonata come poche, ma non a caso così mal redatta, perché solo così, sull’onda della concitazione mediatica per la sicurezza, ci si è potuto mettere dentro tutta la xenofobia razzista di cui si nutre l’attuale maggioranza.

Chi decide quanto vale una vita, chi ne stabilisce diritti, tutele, destino di sopravvivenza? Chi stabilisce che una persona in fuga per la vita abbia diritto - o non l’abbia - a fare quello che può per la propria sopravvivenza o per un sogno di vita migliore? Una volta la sinistra se ne occupava e cambiava le cose. La politica spettacolo, che è politica a tutti gli effetti, quindi anche nella strumentalità dell’uso che ne viene fatto, in questa triste e indecente vicenda di legge ha fatto la sua parte, permettendo al Senato, a cui competevano lettura finale e voto sul provvedimento, di operare nell’angolo buio e dimenticato della routine parlamentare, mentre riflettori e gossip si infuocavano delle vicende sessual-personali-politiche del premier e le scorribande dei “grandi della terra” tra le rovine del terremoto aquilano riempivano pagine e pagine di una stampa nostrana asservita come poche al potere. E’ in questa zona grigia, con un’opposizione in altre preoccupazioni affaccendate, rassegnata una parte, connivente l’altra, che il provvedimento è diventato legge. Da brivido, se pensiamo a mente libera a ciò che un Parlamento democraticamente eletto può democraticamente decidere. Legge e Costituzione in rotta di collisione con rischio di schianto: questo è il contesto di riferimento, dopo questa approvazione. C’è da chiedersi che cosa sia la democrazia oggi se salta il rapporto virtuoso tra testo e contesto.

Durante la XIV Legislatura Carlo Azeglio Ciampi rinviò alle Camere ben sei provvedimenti, chiedendo, come da articolo 74 della Costituzione, “una nuova deliberazione”. Rinviare una legge alle Camere, con motivato messaggio esplicativo, non è altro che quello che è, se solo stessimo, come si dovrebbe stare, alla logica delle istituzioni secondo Costituzione. Oggi, a sentire le apodittiche certezze di taluni della maggioranza ma anche le fumistiche argomentazioni di qualche esponente dell’opposizione, il rinvio corrisponderebbe né più né meno che a un atto di eversione. Uno straparlare senza senso? No, uno straparlare che vuole cancellare definitivamente l’abc di quello che sappiamo della nostra storia repubblicana e delle vicende istituzionali attraverso cui si è dipanata.

Le critiche che il Capo dello Stato Giorgio Napolitano ha sollevato a proposito di questa legge sono state precise, inequivocabili, gravi. Di metodo e prassi legislativa e di sostanza di legge. C’è da chiedersi, allora, perché Napolitano non abbia rinviato il testo alle Camere, come è appunto nelle sue prerogative e come l’assoluta negatività del provvedimento, resa più evidente dai suoi stessi rilievi, avrebbe richiesto. Quando, se non davanti a una così patente aggressione ai principi fondamentali della Costituzione, la massima carica dello Stato, nell’esercizio delle funzioni che la Carta gli attribuisce può invitare il legislatore a ripensare sul proprio operato può, come recita l’articolo 74, “con messaggio motivato alle Camere, chiedere una nuova deliberazione”?

Compito delicatissimo, ben inteso, perché incrocia e interroga la sovranità del Parlamento, ma compito contemplato e reso possibile costituzionalmente grazie a un generale dispositivo di equilibrio dei compiti e delle funzioni dei poteri dello Stato che la Carta prevede e rende possibile, proprio in funzione della salvaguardia di quell’essenziale e fondativo elemento di sovra determinazione del suo dettato senza il quale l’intero edificio frana. Come sta franando, col Parlamento sotto schiaffo dell’esecutivo, l’esecutivo in lotta con tutti i poteri dello Stato e la dialettica politica sempre più ridotta a conflitti e tensioni interistituzionali e tra i poteri dello Stato. La sovranità del Parlamento: c’è solo da fare gli sberleffi a chi l’invoca. E’ la Costituzione che l’aveva a cuore. L’invio infatti può avvenire soltanto una volta e la nuova deliberazione richiesta non obbliga il Parlamento a modificare il testo. Dunque la sostanza del potere legislativo è salva. Ma certamente una richiesta di nuova deliberazione mette le Camere di fronte alla necessità di fare i conti formalmente e per via istituzionale con il parere del Capo dello Stato e col suo ruolo di garante. Deve insomma il Parlamento dichiarare una disponibilità o una indisponibilità a prendere in esame le osservazioni contenute nell’atto del rinvio del Presidente della Repubblica. Il che non è una cosa da niente. Ognuno al suo posto ma ognuno col suo ruolo. Costituzione docet. Ma interessa a qualcuno oggi questo intreccio virtuoso che padri e madri costituenti sapientemente cucirono affinché le istituzioni repubblicane funzionassero al meglio? Pare a nessuno, tanto è vero che il ministro Maroni, il premier Berlusconi e altri ancora della maggioranza si comportano che se nulla fosse successo e ribadiscono che tutto resterà come prima. E il presidente Fini si limita a ripetere le sue algide giaculatorie sull’autonomia della Camera a tutto finisce lì. Forse aspetta altri tempi, ha altri calcoli in testa. Chissà. Ma anche l’opposizione fa il pesce in barile, limitandosi a lodare il ruolo del Presidente della Repubblica e il suo equilibro. Equilibrio rispetto a che? Ci sarebbe da chiederlo ma ormai non si sa più a chi.

Dicono i costituzionalisti che il Presidente della Repubblica è assolutamente libero nel prendere le sue decisioni, non condizionato né condizionabile, in quel suo ruolo di garante della Costituzione e “magistrato di persuasione e di influenza”, come ha ricordato Valerio Onida, ex presidente della Consulta, in un’intervista a “la Repubblica”. Ma lo stesso Onida ha dichiarato, senza giri di parole, che le critiche di Napolitano sono “critiche da rinvio”. E infatti basta leggerle: nitide e dirette, come ancora succede nella migliore letteratura dei Palazzi, quella che non si arrende allo stile cacofonico e petulante che oggi va per la maggiore e fa scuola. Riguardano, i rilievi di Napolitano, sia il carattere eterogeneo e estemporaneo di varie disposizioni assemblate nel provvedimento, che conferma una prassi assai negativa su cui altre volte il Quirinale è intervenuto, sia la tendenza a legiferare in un clima di concitazione e sotto pressione dell’opinione pubblica, sia, soprattutto, il merito di alcune parti fondamentali della legge, a cominciare dall’introduzione del reato di clandestinità.

Il Quirinale osserva che il metodo seguito sottrae all’azione del legiferare la necessaria ponderatezza e prudenza, rende difficile la comprensione della ratio della legge all’opinione pubblica e dunque più difficile il rapporto tra cittadino e legge. E per quanto riguarda i contenuti le osservazioni riguardano il reato di clandestinità, la permanenza nei Cie, il ruolo affidato ai giudici di pace in materia di immigrazione, incongruo rispetto al carattere conciliativo della loro funzione da una parte dall’altra tale da istituire un sottosistema sanzionatorio non coerente con l’ordinamento e assai meno garantista. Che altro dire se non che non si capisce perché Napolitano non abbia rinviato il testo alle Camere? Si capisce però che la sua è stata una scelta politica dentro una linea di condotta che gli fa valutare in termini soprattutto di opportunità politica le decisioni da prendere sulle stesse questioni istituzionali a cui è chiamato. Scelta fortemente politica, come fortemente politica è stata la mossa sul bon ton delle relazioni tra maggioranza e opposizione, quel reiterato invito ad abbassare i toni rivolto alla politica (resa incandescente dalla vista degli interni di Palazzo Grazioli e Villa Arcore, quindi invito rivolto soprattutto alla politica dell’opposizione che ci ha sguazzato). Perché la politica deve abbassare i toni? Perché l’opposizione che già li tiene bassissimi dovrebbe spegnerli del tutto? E’ qui che il Presidente della Repubblica è andato oltre quella funzione di “magistrato di persuasione e di influenza” che gli è attribuito, rivestendo un ruolo politico nell’agone direttamente politico che non gli compete. Perlomeno in quelle forme. Con il risultato di rendere ancora più evidente l’asfissia della dialettica politica che domina nel nostro Paese: un’opposizione che non esercita la sua funzione né nelle aule del Parlamento né tanto meno nella società e nel Paese e una maggioranza che straripa da tutte le parti, cambia le regole fondamentali senza preoccuparsi minimamente di niente e arriva a mettere l’Italia in aperto contrasto con le Nazioni unite sulla questione dei respingimenti.

Ci sarebbe veramente ben poco per convincerci ad accettare l’invito del Presidente. Non rinvio di un testo indecente e aperto ruolo di moderatore in un indecente contesto della vita pubblica: questa è la scelta che il Capo dello Stato ha compiuto. Perché Napolitano prevede che ci saranno altri gravi problemi politico-istituzionali con la maggioranza: intercettazioni, “lodo” Alfano alla Consulta e quant’altro? E non vuole inasprire il clima? Perché il congresso del Pd è un passaggio a rischio ed è opportuno fare quello che si può perché non precipiti nel vuoto? Perché la “politica delle spallate” con al centro i vizi del premier è sterile e bisogna rimettere in campo una qualche politica degna di questo nome? Perché in tutto questo è a rischio ulteriormente la tenuta democratica del nostro Paese?

Intanto il pacchetto sicurezza (e lo scoglio del G8 aquilano) sono passati e una pagina è stata voltata tutto a beneficio del governo e del suo premier, che esce indenne, se non rafforzato, dal putiferio in cui era incappato. E non sembra affatto propenso a fare il moderato. Perché dovrebbe?

Rimane l’interrogativo che dovremmo rimettere al centro della sinistra. Chi decide il valore di una vita e delle vite? Chi decide chi siano i sommersi e i salvati dell’epoca che viviamo? E che possiamo fare perché la legge non abbia seguito?

*Aderente a Sinistra e Libertà, ex deputata, femminista e pacifista.


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