lunedì 13 luglio 2009

LO STUPRATORE NON HA COLORE


La storia sociale e l’esperienza delle donne hanno rotto in radice ogni tipo di tipicizzazione dello stupratore, ma oggi tutto appare appannato e rimescolato dalla cattiva politica. Caso Reggiani docet.

13/07/2009 - Il prevalere di una finalità d’uso del concetto di sicurezza, che è tutta ideologica e politica, tesa soprattutto a costruire muraglie cinesi e dispositivi “legali” di esclusione, contro gli immigrati e i diversi, ha avuto tra i suoi effetti nefasti quello di riprodurre e veicolare mediaticamente, rendendoli di nuovo accettabili, gli stereotipi tipicizzanti dello stupratore. Costruzione di intere categorie di uomini con propensione a delinquere sessualmente contro le donne, in luoghi inesorabilmente vocati per miseria e degrado ad accogliere questo tipo di delinquenza: si è andati avanti così come carri armati, con l’effetto di nascondere o camuffare le vere radici del problema.

La storia sociale e l’esperienza delle donne, concreta e quotidiana, la parola e la riflessione femminile, il coraggio delle donne che, a partire da sé, dai propri sentimenti e dalle proprie vite, non di rado dalla violenza subita, hanno fatto, in Italia, del campo della violenza sessuale un terreno di indagine, elaborazione, messa a punto giuridica, rompendo in radice ogni tipo di tipicizzazione dello stupratore: oggi tutto appare appannato, rimescolato e rimosso dall’impostazione prevalente della politica che conta. Politica maschile, soprattutto, leghista in particolare ma non solo. Non solo, vale la pena di ripetere, come la vicenda della signora Reggiani ha ampiamente dimostrato.

Fu, quella vicenda, un caso esemplare di grandissimo impatto mediatico, che confermò il ritorno in grande stile del ricorso alla tipicizzazione del profilo dello stupratore. Una tendenza per altro già largamente operante da tempo - il problema è l’immigrazione, bellezza! - e non adeguatamente contrastata neanche dalle forze democratiche e di sinistra. Tuttavia il caso della signora Reggiani fu emblematico come pochi nonché da manuale di pessima politica, anche perché il concorso di forze della parte politica di centro-sinistra fu determinante. Do you remember l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni e il suo inconsulto darsi da fare contro la categoria stuprante di turno? Ricordate la sua allucinata telefonata al capo del Governo della Romania?

Uno stupratore è uno stupratore, hanno detto donne, femministe, donne di legge e anche uomini riflessivi nonché indagini conoscitive della realtà. Può appartenere a qualsiasi mondo, ambiente, livello culturale. Questa è la realtà. Se si guarda alla storia della rappresentazione dello stupro, del modo come viene raccontata e mediata culturalemnte la violenza sessuale nel nostro mondo, si può costatare invece che ricorrentemente e con grande facilità le minoranze maschili o alcuni gruppi maschili etnicamente culturalmente socialmente svantaggiati sono stigmatizzati come potenzialmente pericolosi e dunque ritenuti particolarmente propensi ad abusare di una donna: gli immigrati e i gruppi etnici più lontani da noi, i rom, i poveri, i giovani con precedenti penali. Marocchini, albanesi, romeni, rom e avanti il prossimo gruppo. Il gruppo maschile dominante, da noi quello dei bianchi socialmente emancipati, professionalmente degni di stima, culturalmente tutto ok vivono invece nel limbo della più totale insospettabilità. Se un rom abusa di una donna il commento è: “c’era da aspettarselo”. Se uno stimato professionista fa altrettanto, il commento è: Dio mio, come è possibile?” Possibile invece, possibile, come la secolare storia delle donne insegna. Il benessere sociale non automaticamente produce differenza di benessere psicologico, di agio affettivo e reciprocità esistenziale nelle relazioni tra i sessi. La ricchezza culturale idem. Lo hanno fatto, l’atto di stuprare, per le ragioni e le motivazioni più diverse, re, principi, generali, nostrani ufficiali e ufficiali di suo maestà, marines a stelle e strisce e professori universitari, vicini di casa mariti fidanzati amichetti e parenti, preti e sacrestani, manager e operai - così dicono i fatti e le statistiche sui luoghi e i responsabili della violenza sessuale. Violenza che può arrivare fino alla morte anche per mano di uno del “tuo” gruppo. E ovviamente lo hanno fatto, l’atto di stuprare, i corrispondenti di tutte queste categorie maschili e altre ancora, appartenenti ad altri gruppi umani, segnati, come il nostro, da un tipo di cultura e di storia sociale delle relazioni tra i sessi dominata dal maschile. Una cultura che autorizza i maschi - molti ma non tutti, ovviamente e per fortuna - a iscrivere la violenza sessuale nei propri comportamenti sessuali e, soprattutto, la società, che non a caso le femministe hanno denominato “patriarcale“, cioè nelle mani dei patriarchi maschi, a camuffare questa anormale normalità di relazioni umane così fondamentali, come quelle tra gli uomini e le donne, tra le pieghe dell’eccezione, per i dominanti, e della tipicizzazione per i disgraziati.

Il “bravo ragazzo” del Torrino,che desta stupore anche se ha precedenti poco rassicuranti, stando alle cronache e alla banca dati della Questura di Roma, restituisce - lo spazio di un mattinale di polizia? - corpo alla realtà dello stupro anche se non mette in crisi veramente il meccanismo dello stupore auto-protettivo. Lui ha precedenti per lo stesso reato: questo è un dato accertato ed è, sembrerebbe, un serial. Quest’ultima è al momento una presunzione di colpevolezza, punto, quello della presunzione, da tenere ben fermo, ovviamente. Per tutti. Ma le reazioni prevalenti non riguardano affatto lo stato di diritto: non è in ballo il diritto alla presunzione di innocenza fino a giudizio del tribunale ma lo stupore perché una persona così possa aver fatto una cosa così. Per delitti dello stesso tipo fatti da altri “tipicamente inclini” la reazione è di solito la gogna, la forca e similia. Il che semplicemente dimostra quanto sia radicato e radicale il meccanismo che nasconde la dura realtà della violenza sessuale sulle donne. Ma uno stupratore è uno stupratore, diciamo noi. Bisogna insistere. Ne va della civiltà delle relazioni tra i sessi a cui le lotte delle donne hanno dato il segno di un percorso di civilizzazione in cammino da fondare e rifondare nel mutare dei contesti, implementare, difendere. Perché di vantaggio per tuti, come ogni processo di tal natura.

Gli uomini non sono stupratori. Alcuni uomini lo sono. Non si nasce stupratori. Neanche serial stupratori si nasce. Si diventa tali e lo stupro non è un “virus sociale” inevitabile ma “un’azione umana, frutto di contesti e di volontà”, come scrive Jonna Bourke nel suo bel libro sulla storia della violenza sessuale.

Bisognerebbe, dico io, che le donne riprendessero alla grande la scena pubblica da protagoniste perché mai come oggi la politica le mette in scena e loro dovrebbero invece mettere in scena la politica.

*aderente a Sinistra e Libertà, ex deputata, femminista e pacifista.

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