sabato 13 giugno 2009

BLINDATO IL DDL ALFANO.

COLPITA LA LIBERTA’ DI STAMPA


Il ddl Alfano, passato con l’ennesima fiducia del governo alla Camera, comprime ancora la libertà di stampa e il diritto all’informazione dei cittadini. Che con questa legge non avrebbero mai saputo della Cirio, della Parmalat, della clinica Santa Rita di Milano.

13/06/2009 - Il rapporto mondiale sulla libertà di stampa 2009 di Reporter Senza Frontiere mette l’Italia al 44^ posto su 173 stati al mondo, dopo paesi come il Cile, l’Africa del Sud, la Corea del Sud. Persino la Namibia sta più in alto di noi. Un mese fa la Freedom House, organizzazione autonoma che si pone come obiettivo la promozione della libertà nel mondo, invece, ha declassato per il 2009, il nostro paese dallo status di paese”libero” (in quanto a libertà d’informazione) a paese “semi-libero”, l’unico in Europa Occidentale insieme alla Turchia. In pratica facciamo buona compagnia all’America del Sud. Peggio solo in Russia, in Cina, in Medio Oriente, in gran parte dell’Africa. Questo prima che passasse alla Camera, blindato dalla fiducia (la 15° del governo Berlusconi) il disegno di legge Alfano sulle intercettazioni, nonostante il parere negativo del Consiglio Superiore della Magistratura e l’appello del sindacato dei giornalisti e della federazione degli editori. E se tutto il mondo esprime serie preoccupazioni sulla situazione di questa libertà fondamentale per la democrazia, dovremmo avviare una riflessione veramente seria sull’argomento.

Il ddl n° 1415 firmato dal Guardasigilli di fiducia berlusconiana sostanzialmente abolisce o limita fortemente l’uso delle intercettazioni telefoniche come strumento di indagine e ne vieta la pubblicazione da parte dei giornalisti, ledendo il diritto di cronaca e il diritto dell’opinione pubblica ad essere informata sui fatti, due facce della stessa medaglia. In particolare la modifica dell’articolo 114 del codice di procedura penale vieta espressamente la pubblicazione di notizie di cronaca giudiziaria, anche parziale o per riassunto, persino quando è finita la copertura del segreto istruttorio. In pratica anche quando non sussistono più “esigenze di giustizia” i cittadini devono essere tenuti all’oscuro non solo dei contenuti del processo, ma anche del nome o del viso del magistrato che giudica. Alla faccia della trasparenza e della giustizia amministrata in nome del popolo (articolo 101 della Costituzione). Sono inasprite, inoltre, le pene per i giornalisti che violano queste disposizioni che potranno essere puniti col carcere dai sei mesi a un anno e multe fino a 5000 euro (e nel caso di giornalisti free-lance, precari o impiegati in piccole testate, cioè la grande maggioranza, il problema si fa ancora più stringente).

Particolarmente grave è la norma secondo cui ad essere punito è non solo il giornalistama anche l’editore, chiamato in causa dal ddl con formule alquanto criptiche: si parla di “enti” cui verrebbero addebitate “sanzioni pecuniarie” da 100 a 300 “quote” (=100-300mila euro). Questo significa investire l’editore di una sorta di “responsabilità oggettiva”, portando all’interno della redazione una figura che finora l’ordinamento e l’etica dell’indipendenza giornalistica hanno cercato di tenere sempre accuratamente fuori. Se infatti il direttore editoriale finora è stato l’unico ad avere l’ultima parola su ogni riga scritta, pubblicata o letta dalla sua redazione, in quanto “controllore” e depositario della linea editoriale, il ddl Alfano dice ora all’”editore”: “controlla anche tu, dal momento che potresti andarci di mezzo”. Infine, si dà spazio alle rettifiche e si dice che la rettifica dovrà essere pubblicata senza commento, il che vuol dire senza il diritto per il giornalista di replicare in sintesi esponendo il proprio punto di vista. che è venuto meno agli obblighi verso la legge (non verso i cittadini…)

Se queste norme fossero state in vigore prima, fa sapere la giornalista Milena Gabanelli, conduttrice del programma di giornalismo investigativo “Report”, ai cittadini non sarebbe arrivata notizia alcuna di clamorosi scandali avvenuti nel nostro paese, in cui anche il clamore e l’indignazione dell’opinione pubblica hanno costituito una fortissima spinta alla giustizia. Nessuno avrebbe saputo nulla del crack Cirio, della vicenda Parmalat, dello stupro di Guidonia, dell’Antoveneta e della Banca d’Italia. Nessuno avrebbe sarebbe stato informato delle vicende collegate alla clinica Santa Rita di Milano.

La scusa usata è, naturalmente, l’abuso di questo strumento da parte di alcuni giornalisti e l’”indignazione popolare” per il conseguente danno alla privacy. Come a dire: se qualche giornalista (sui tanti che ne fanno un uso corretto) sbaglia, impediamo a tutti di esercitare giustamente il diritto di cronaca e di informare i cittadini. Per togliere qualche mela marcia buttiamo alle ortiche tutto il raccolto. E pensare che proposte alternative ce n’erano state. Il sindacato e l’Ordine dei giornalisti ad esempio avevano proposto di introdurre “udienze-filtro” nelle quali magistrati e avvocati si accordano sulle parti delle intercettazioni da secretare perché prive di rilevanza nel procedimento e relative a vicende private. Un Giurì per la correttezza dell’informazione invece aveva proposto, nel progetto di auto-riforma dell’Ordine, di rendere più veloci e incisivi i processi contro i giornalisti che sbagliano. Tutti spunti che il governo ha lasciato cadere nel vuoto.

Il contrasto con l’articolo 21 della nostra Costituzione è evidente: subisce un duro colpo la cronaca giudiziaria, ripristinata nel nostro paese dopo il Ventennio fascista, insieme al diritto dei cittadini di conoscere fatti rilevanti della vita pubblica (atti giudiziari, episodi di malasanità, corruzione, violenze, etc). “In pratica non sapremo più nulla di qualsiasi scandalo fino alla conclusione del processo e con i tempi previsti nel caso italiano, la cronaca giudiziaria non esisterà più. Ci troveremo in una situazione assai simile a quella che c’è stata in Italia, come nella Germania nazionalsocialista, negli anni tra le due guerre mondiali. E la maggioranza berlusconiana potrà superare senza colpo ferire qualsiasi scandalo interno, qualsiasi episodio di corruzione, di malversazione riconducibile alla pubblica amministrazione, alle istituzioni come al partito di maggioranza”, scrive Roberto Natale, presidente dell’Fsni. Viene da chiedersi quale sarà la posizione dell’Italia nelle prossime classifiche sulla libertà di stampa nel mondo di Reporter Senza Frontiere e Freedom House.


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