mercoledì 24 giugno 2009

PRECARI: NELLA CRISI SENZA NESSUNA TUTELA

24/06/2009 - Secondo quanto riportato dall’ultimo comunicato Istat, pubblicato la settimana scorsa, nel primo trimestre 2009 più di duecentomila persone non lavorano più, rispetto allo stesso periodo del 2008. Il calo è significativo ed è pari a circa lo 0,9% su base annua. Un dato capace di far salire il tasso di disoccupazione al 7,9%, una percentuale scandalosa per una nazione industrialmente avanzata come la nostra.

Ma il dato è ancor più significativo se andiamo a spulciare le 13 pagine del rapporto.

Scopriamo, così, che la riduzione del numero degli occupati interessa soprattutto i dipendenti a termine (-154.000 unità), i collaboratori coordinati continuativi e occasionali (i cosiddetti Co.Co.Co., -107.000 unità) e gli autonomi (-163.000 unità). Per quanto riguarda la crescita del lavoro a tempo parziale si specifica come questo sia dovuto “al part-time di tipo involontario nei contratti a tempo indeterminato” mentre, “sempre con riferimento all’occupazione dipendente si registra una forte riduzione del lavoro a termine (-7,0%, pari a 154.000 unità) che coinvolge per circa tre quarti i giovani fino ai 34 anni”.

In pratica l’ennesimo vistoso calo dell’occupazione, che sconta le conseguenze di una crisi economica mal gestita e di palesi “difetti normativi”, indica che ad essere “falciati via” dal mercato del lavoro sono tutti quei lavoratori precari e privi di tutele che la legislazione ha reso ormai la forma “normale” di occupazione. Il paradosso sta nel fatto che, come si può leggere sul sito dell’Istituto Nazionale di Statistica, la prima pubblicazione del suddetto comunicato è uscita in forma ridotta “a causa dell’agitazione del personale che chiede una soluzione al problema dei contratti degli intervistatori in scadenza il 30 giugno 2009″. Una notizia che il nostro sito aveva già pubblicato qualche giorno fa: proprio ricerche di elevata qualità e affidabilità come questa, appunto, potrebbero non essere più possibili, dal momento che i 317 rilevatori precari che da anni le garantiscono potrebbero trovarsi a breve disoccupati, con grave danno della statistica ufficiale e dell’economia (per esempio il calcolo del PIL).

Quello che stupisce, e che ormai viene dato banalmente per scontato, è che i cosiddetti “contratti atipici di lavoro” siano diventati la forma prevalente e “tipica”, trasformando la conclamata “flessibilità” in “precarietà. Lungi dal disincentivare forme di occupazione “non stabile” come queste (per esempio rendendole più costose) la legge Biagi e successivi d.lgs hanno nei fatti costruito un sistema a tutto vantaggio dei datori di lavoro. Contratti che non potrebbero essere rinnovati per più di tot volte vengono spesso rinnovati, fra formule leggermente differenti ed escamotage, per anni e anni: costano di meno (i contributi da versare sono notevolmente inferiori), nessuna garanzia salariale nel lungo periodo, ricattabilità del lavoratore che, davanti al rischio di perdere il lavoro, difficilmente potrà pretendere i propri diritti.

Il problema reale è che, a differenza di altri paesi in cui questi tipi di contratto esistono, è stata effettuata una modifica legislativa senza adeguare di pari passo gli ammortizzatori sociali e il contesto del mercato del lavoro. Il precariato emerge quindi rispetto alla durata, alla copertura assicurativa, alla sicurezza sociale, ai diritti, all’assenza o meno dei meccanismi di anzianità e di Tfr, al quantum del compenso ed al trattamento previdenziale. Il precariato si connota soprattutto come compressione dei diritti del lavoratore dentro gli schemi del mercato del lavoro e limitazione, quando non violazione, dei diritti d’associazione sindacale. Soprattutto, il precariato intacca la qualità della vita in termini di progettualità personale e sociale. Provate ad andare a chiedere un mutuo in banca con un contratto di collaborazione occasionale a scadenza di tre mesi. Provate a spiegare loro che con quello che vi pagano a mala pena riuscite a mantenervi, figurarsi mettere soldi da parte per affrontare eventuali periodi di disoccupazione. Provate a far capire che è il moderno mercato del lavoro a richiederlo, e che alla fine di quella collaborazione, sicuramente troverete qualcun’altro disposto ad accogliervi nuovamente e a braccia aperte. Per altri tre mesi.


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