martedì 23 giugno 2009

REFERENDUM: VINCE LA LIBERTA’, PERDONO PD E PDL


E’ stato il referendum col più alto tasso di astenuti nella storia della Repubblica. E segna la fine delle forzature, di Pd e Pdl in primis, verso un sistema di bipartitismo coatto, non scelto liberamente dai cittadini ma frutto di espedienti elettorali.

I tre quesiti referendari per modificare l’attuale legge elettorale hanno battuto un record: quello della più bassa partecipazione al voto in tutta la storia dei referendum.

Mai si era visto in passato un così clamoroso fallimento.

Il referendum che si è appena celebrato segna una svolta nella tormentata vicenda delle leggi elettorali italiane.

Il mancato raggiungimento del quorum non significa certo che gli italiani sono affezionati alla attuale legge elettorale.

Il tasso elevatissimo di astensione, al contrario, mette in evidenza il rifiuto di massa di quesiti referendari che se approvati avrebbero reso ancora più “porcata” la legge attualmente in vigore.

Non sarebbe stato risolto il problema di un Parlamento “nominato” dall’alto dai vertici di partito.

Ne sarebbe uscita una legge che avrebbe aggravato tutti i problemi provocati dall’attuale legge elettorale, a cominciare da un potere di nomina dei parlamentari che sarebbe stato consegnato, di fatto, nelle mani dei segretari di due soli partiti.

Da questa competizione referendaria esce con le ossa rotte la cultura del bipartitismo coatto. Esce sconfitta, cioè, la pretesa coltivata in vari modi dai due principali partiti italiani, il PDL e il PD, di crescere non in virtù della loro capacità di attrarre liberamente consensi elettorali, ma in forza di leggi elettorali che distruggano tutto ciò che sta loro intorno.

Si è ricercata in questi anni una semplificazione coatta del sistema politico italiano. Sostenuti da una campagna di stampa martellante, i due principali partiti italiani hanno additato al pubblico ludibrio la frammentazione delle forze politiche italiane.

Lo hanno fatto, però, soltanto per meri interessi di bottega. La tanto vituperata “frammentazione”, infatti, è stata ampiamente utilizzata e promossa dai due partiti maggiori quando si trattava di sostenere candidati presidenti di Regioni e Provincia o candidati a Sindaco nei comuni. C’è stata una vera e propria gara a inventare e moltiplicare, liste capaci di raccogliere il consenso di tutti gli ambienti sociali, anche i più incredibili. Tutti ricordano le liste “Forza Roma” o “Forza Lazio” presentate a sostegno di Veltroni o di Alemanno al Comune di Roma.

Ovviamente noi non auspichiamo un sistema politico artificiosamente frammentato. La nostra bandiera è il voto libero, dove non ci siano più voti utili o voti inutili. Un voto libero nel quale siano i cittadini a scegliere e decidere quanto frammentata debba essere la scena politica italiana. PD e PDL, se sono così convinti della bontà dei loro argomenti contro la frammentazione, non devono avere nessun timore a lasciare che sia il voto libero dei cittadini a decidere la questione. La smettano di affidarsi alla forza dei loro numeri in Parlamento per introdurre marchingegni elettorali, come quello dello sbarramento introdotto per il Parlamento europeo, che tendono solo a comprimere una delle libertà fondamentali di una democrazia degna di questo nome, la libertà di voto delle liste e delle persone.

La governabilità di un paese, di una regione o di un comune non può più essere assicurata strozzando fino al punto di tenere forzatamente fuori dalle assemblee la elettive la rappresentanza di milioni di voti.

La governabilità è prima di ogni cosa una virtù politica. E’ in forza di questa virtù che le coalizioni possono stare in piedi, durare e portare a termine il mandato loro affidato dai cittadini.

Il fastidio per le ragioni degli altri, l’idea che i programmi concordati servano solo a prendere voti e a essere, poi, rimessi rapidamente nei cassetti, la pretesa che il potere di decidere spetta solo a chi è più forte e che gli altri si debbano adeguare senza fare tante storie, sono solo alcuni esempi di quella mancanza di virtù politica che mina la governabilità di un Paese.

Il clamoroso fallimento del referendum riapre il dibattito attorno a questi temi sbarrando, si spera definitivamente, la strada al veltronismo, di cui il referendum è stata l’ultima disperata espressione.

Il PD di Franceschini, che non è stato capace di cambiare strada, ha subito, insieme ai promotori del referendum, un’altra cocente sconfitta.

Il nostro auspicio è che da questa nuova e prevedibile batosta il PD sappia trarre le necessarie lezioni, ritrovando quella virtù politica di cui è stato gravemente carente.


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