giovedì 4 giugno 2009

LA SOCIETA’ DELLA CONOSCENZA


Come costruire la Società della conoscenza nell’Europa che verrà. Umberto Guidoni ci spiega come Sinistra e Libertà intende investire nella ricerca e nell’innovazione per rilanciare l’economia e dare nuova speranza a migliaia di ricercatori.

Ricerca e Sinistra - (U. Guidoni)

04/06/2009 - Tutti conoscono Maastricht e la zona euro, Schengen e la libera circolazione dei cittadini, ma pochi sanno di Lisbona e della società della conoscenza.
A Lisbona, nel 2000, la UE ha posto le basi per un obiettivo strategico: “ diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.

Se l’obiettivo di Lisbona di investire almeno il 3% del PIL nella ricerca è un obiettivo primario per l’Europa, diventa urgentissimo realizzarlo nel nostro paese, che sconta un grave ritardo rispetto ai paesi più avanzati in Europa.
I tagli del ministro Gelmini, invece, hanno portato l’Italia a spendere meno dell’1% in ricerca. Il governo considera le attività di formazione e di ricerca come un costo da tagliare e punta al mercato, cioè ai privati, per reperire risorse.
E’ una scelta ideologica perché i fondi per la ricerca, come nel caso di molte altre aree finanziate pubblicamente, non possono essere giustificati solo in termini di “benefici economici misurabili”.

L’efficacia delle politiche della ricerca non può ridursi “all’incremento del PIL” ma deve essere misurata sulla crescita della società nel suo insieme: infatti conoscenza e innovazione
La necessità di supportare la ricerca con investimenti pubblici deriva inoltre dalla natura del sistema dell’innovazione che richiede investimenti nel capitale umano e nelle reti capaci di assicurare la diffusione della conoscenza.
devono costituire un bene pubblico, un patrimonio che deve essere accessibile a tutta la società.

Il cosiddetto “capitale umano” sta diventando la risorsa chiave più delle tradizionali risorse naturali. I Paesi del Nord Europa occupano i vertici delle classifiche legate alla ricerca: su 1.000 occupati in Finlandia e Svezia, i ricercatori sono rispettivamente 17 e 11. L’Italia si attesta al penultimo posto (3), meno della metà della media europea (6,3). Inoltre, il numero dei ricercatori è diminuito in Italia, tra il 1995 e il 2004. Nello stesso periodo, in Spagna, i ricercatori in ambito pubblico sono più che raddoppiati.

In Italia, al contrario, aumentano solo i precari che, nelle università italiane hanno raggiunto la cifra di quasi 40.000; oltre il 37% del personale della ricerca è costituito da personale precario.
Si tratta di lavoratori qualificati, che svolgono la loro attività in un sistema che li costringe in uno stato perenne di precarietà: il rilancio della ricerca italiana passa necessariamente per la valorizzazione di queste risorse professionali.
Ma il tema della formazione e della ricerca non può essere affrontato solo dal punto di vista delle statistiche. Via via che l’interdipendenza tra tecnologia e società si fa più profonda, con l’entrata nell’uso quotidiano di beni di consumo sofisticati e di strumenti di lavoro complessi, rischia di crearsi e amplificarsi una sorta di separazione, il cosiddetto “technological divide” tra chi sa e chi rimane escluso.

C’è il rischio di una separazione tra esperti e non esperti, o peggio, tra semplici consumatori e cittadini istruiti che sanno e decidono. E’ la lezione gramsciana secondo cui “..non conoscere significa non partecipare e in definitiva, non contare…”.

Ecco che il tema della democrazia, si intreccia con la diffusione del sapere. La battaglia per far crescere la formazione e la ricerca, in Italia diventa una battaglia politica di progresso, una battaglia di democrazia, una battaglia di sinistra!

Umberto Guidoni scheda personale


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