venerdì 26 giugno 2009

Pluralismo informativo? Non in Italia
L’inefficacia della disciplina sulla par condicio, la concentrazione dell’infomazione nelle sole mani del premier e l’oscuramento mediatico dell’opposizione, hanno rimosso il concetto del pluralismo informativo dai mass-media del nostro Paese

di Nicola D’Angelo*

26/06/2009 - Calamandrei diceva che dietro ogni articolo della Costituzione c’è la nostra storia, ci sono i nostri dolori e soprattutto le gioie per la riconquistata libertà. Aggiungeva che le norme costituzionali non sono vuote formule giuridiche, semplici asserzioni formali, ma principi che ogni giorno bisogna far vivere con il nostro impegno e la nostra responsabilità.

Cosa abbiamo fatto allora, quale impegno abbiamo messo in questi anni nel dar forza a quei valori scolpiti in una norma centrale della nostra Costituzione quale l’art. 21?

Ieri il Presidente della Repubblica ha affermato che in una democrazia la libera informazione costituisce una condizione irrinunciabile. Nei giorni scorsi un’indagine del CensisFreedom House, un’organizzazione indipendente americana che da trenta anni analizza lo stato dell’informazione in tutti i paesi del mondo, dava l’Italia al 73° posto, alla pari di Tonga, nella classifica sulla libertà di stampa. riportava quanto hanno inciso e incidono i telegiornali sulla formazione del consenso politico. Qualche tempo prima un rapporto della

A guardare i dati sul pluralismo informativo degli ultimi mesi pubblicati da AGCOM viene da dire che una volta di più il pluralismo informativo è finito in un cassetto.

Chi ne parla o cerca di fare qualcosa è accusato, nella migliore delle ipotesi, di estremismo. Quello che avrebbe fatto rabbrividire un moderato liberale è oggi argomento di scandalo.

Nella vicenda attuale all’ordinario squilibrio tra le diverse posizioni politiche si è sommata la rilevante presenza nell’informazione di una solo carica istituzionale, quella del Capo del Governo.

Per ultimo, si è aggiunto l’invito ai media di non dare pubblicità alle tesi dell’opposizione.

Neppure l’entrata in vigore della disciplina sulla par condicio, tuttora operante, è riuscita anche solo in parte a correggere questa situazione.

La legge sostanzialmente non è servita.

Le istituzioni preposte potevano o dovevano fare di più rispetto alla denuncia dei dati e ad alcuni provvedimenti di richiamo?

Probabilmente si anche se ormai non è più sufficiente il solo intervento di qualche organismo più o meno adeguato.

Il Parlamento deve seriamente riconsiderare le regole di garanzia del pluralismo ma soprattutto l’attenzione della politica deve essere forte sul tema e non viverlo come un fastidio.

* Commissario Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni - AGCOM

(articolo già pubblicato sul sito web articolo21)


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